CANNES 64 – “Michael”, di Markus Shleinzer (Concorso)

MICHAELAssistente di Michael Haneke, il regista austriaco è all’esordio nel lungometraggio. Per la sua prima esperienza dietro la macchina da presa si concentra sul tema della pedofilia. Un diverso “Funny Game”, in cui gli eventi si susseguono senza scossoni di regia, da manuale di psicologia clinica. È proprio però quella cura sottile della “preparazione” al dramma a lasciare il resto in un’asfissia creativa poco gratificante. I salti e i tagli di montaggio continui diventano omissioni più di maniera che di pensiero radicale

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MICHAELConosciuto come assistente di Michael Haneke, l’austriaco Markus Shleinzer è all’esordio nel lungometraggio. Per la sua prima esperienza dietro la macchina da presa, il regista si concentra sul tema della pedofilia, descrivendo il rapporto “malato” tra un uomo di trent’anni e un bambino rinchiuso nello scantinato di casa, da almeno 5 mesi. Tutto è incentrato su questa relazione in cui il protagonista Michael prova a tutti i costi di instaurare un contatto normale con il sequestrato, facendogli credere che i suoi genitori lo hanno abbandonato. Puntualmente, a fine giornata, tornando da lavoro (Michael fa l’assicuratore e si prospetta per lui anche una promozione), esige rapporti sessuali, senza mai dover utilizzare la violenza fisica. Michael vuole vivere in maniera convenzionale, senza dover rinunciare totalmente alla sua vita con gli amici e i colleghi d’ufficio. Pur trascorrendo le feste solo con il bambino, rinunciando agli inviti di sua madre e di sua sorella,  tiene una condotta senza macchia. Un diverso “Funny Game”, gli eventi si susseguono senza scossoni di regia, con perenni tagli dell’azione che si compone di vari livelli consequenziali e lievemente sovrapposti. Niente di nuovo e l’impressione è che la tematica ad un certo punto passi anche in secondo piano. Non c’è l’intenzione di colpire a tutti i costi, scandalizzare attraverso l’esposizione visiva del dramma, ma sembra invece assai evidente il gusto di evidenziare i tratti salienti di personalità di un uomo con tali problemi. Quasi da manuale di psicologia clinica è la ricostruzione nei dettagli dell’evolversi della messinscena. L’unico acuto, o sbandata narrativa, tanto per destabilizzare lo sguardo, è l’utilizzo del pezzo “Sunny” (memorabile successo Disco Music) sui titoli di coda, che precedono un finale abbastanza scontato ma effettivamente ben diretto. È proprio però quella cura sottile della “preparazione” al dramma a lasciare il resto in un’asfissia creativa poco gratificante. “Saltare” continuamente diventa un’omissione più di maniera che di pensiero radicale.        

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