CANNES 65 – Cannes al Vento

I commenti della redazione di Sentieri Selvaggi a Cannes sul palmarès e sull'edizione 2012 del Festival. Tra il disappunto condiviso per i vincitori del Concorso e una serie di derive verso suggestioni, istanti, visioni, tormentoni, personaggi e ossessioni di quella ronde straniante e vorticosa che sono le due settimane di vita festivaliera. Da Bowie/Mogol a Hemingway, dagli hangover senza risveglio a Karma Police…

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Andare oltre il dis/piacere. Le tombe di Haneke, le chiusure a distanza di Garrone. Le cantine vere sono quelle dello stratosferico Io e te di Bernardo Bertolucci (si doppia, triplica quadrupla la Palma d’Oro girandole attorno potendola denigrare quando vuole) e delle pulsioni di vita oltre la morte dell’ottima Sandrine Bonnaire di J’enrage de son absence. I capolavori veri sono altrove. Basta il movimento di Marion Cotillard che riprende la gestualità di come addestra le orche in De rouille et d’os, il trasformismo di Denis Lavant dentro cui ci sono tutti gli straordinari film che non ha fatto Leos Carax in tutti questi anni con Holy Motors, il teatro/confessione di Alain Resnais con Vous n’avez rien encore vu. Oltre la Francia, il coreano Hong Sang-soo muta la pesantezza di Isabelle Hupper di Haneke e la rende libera e selvaggia, più vite e più personaggi nello steso corpo. E poi lo straordinario Beyond the Hills di Cristian Mungiu, due premi che non gli hanno reso comunque la necessaria giustizia, un finale da brividi in un film che non finisce più come 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, la contagiosa leggerezza di Ken Loach con i suoi improbabili e ancora per questo più attraenti Hangover (una sbornia di whisky senza risveglio come in Todd Phillips) e la Tokyo di Abbas Kiarostami di Like Someone In Love, riappropriata secondo i suoi rirmi e i suoi tempi ma con le luci stordenti di Michael Mann. Tutto troppo rimasto fuori dal Palmarès ma non c’importa. Un bel concorso rimasto in superficie e non valorizzato da un in/evitabile verdetto. (s.e.)

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Palma d’oro ad Haneke? Sembra davvero di essere nel loop di un film di Hong Sang-soo. Sss—uur le pont d’Avignon: l’impasse di una demenza senile invincibile. È il balbettio partorito dal delirio di onnipotenza di un regista, che rifà la morte, senza capire quanto il cinema già ne sia intriso. Questi premi di Cannes confermano definitivamente la paura del Contagion di Soderbergh, sempre più film bandiera del rigore, risposta fatale e fallimentare contro la crisi. L’appartamento confino di Haneke, la Napoli di cartapesta di Garrone, cinema fuori luogo, che si rinchiude da solo in un set grande fratello. Sei volgare, sei stato nominato. Ma quale Garrone? Monsieur Merde semmai, mostro di Carax che attraversa e squarcia i confini, in cerca della bellezza, cioè di una coincidenza tra la finzione e una verità. Altro che Cosmopolis: Mathieu Amalric semmai, folletto geniale che s’insinua tra le maglie della sicurezza e ci prende a torte in faccia. Apriamo gli occhi. Le gambe e il fiato mozzati di Audiard, Il vetro dell’ipocrisia infranto nel finale di di Kiarostami, il mondo di cartapesta di Wes Anderson squarciato dall’apocalisse dei sentimenti, la follia iconoclasta di Alina nell’intensità sottopressione di Mungiu, lo slittamento senza senso di Hong, l’irriverenza di Loach. Per non parlare, altrove, di Bertolucci, Wakamatsu, Gondry, Kaufman, Tsai Ming-liang. Il cinema cammina ancora a un passo diverso. Se Karma Police ci minaccia, non ci arrendiamo. For a minute there, i lost myself, i lost myself. (a.s.)


Post tenebras spero lucem.
Un palmarès che assomiglia al film di Reygadas, con una trama senza coesione, disorientata e disorientante, che cede all’imperativo pratico (il filmino di famiglia dove Moretti immortala Garrone) e sprofonda nel nero terrificante di quelle tenebre dove i peggiori incubi diventano realtà (la palma d’oro all’arte mortifera e artefatta di Haneke). E che fine hanno fatto Audiard, le adolescenze fluttuanti di Nichols e, soprattutto, il magnifico Holy Motors di Carax, dove il pensiero (di cinema) devia dalla parola – Monsieur Merde e i suoi suoni inarticolati – per diventare immagine? In barba ad Haneke, uno slancio vitale si insinua come una smagliatura nel palmarès e ad esorcizzare il cinema (premiato a Cannes) dal demone della sua scomparsa ci pensano la semplicità trasparente di Loach e, soprattutto, l’intensità miracolosa di Mungiu. Forse Moretti e la sua giuria credono nell’illusione che alla fine ogni cosa si possa espiare, in un modo o nell’altro. E intanto non resta che perderci nella nebbia di Loznitsa, e meglio ancora, nasconderci fuori, nella non riconciliazione di Wakamatsu, o con Bertolucci, in quella cantina che, come un formicaio, contiene nei suoi spazi angusti un intero universo. (f.b.)

Esimio Tsai, mantenersi su di un solo piede è sempre difficoltoso. Non riesco a togliermi dalla mente il lavoro Suo e del Suo attore Lee Kang Sheng perché su ogni passo, in effetti, bisognerebbe riflettere a quel modo, prima di compierlo. Mi trovavo a Cannes, In Another Country come sempre si conviene a chi ha capito che il tempo ha paura dei film, per via di un ritratto dedicatomi dal valente Philip Kaufman, opera che straborda ma temo anche per colpa mia, o del mio fantasma. Con l'amico Apichatpong convenivo l'altra sera che la realtà non esiste (oppure è nascosta in cantina a mangiare merendine). Figuriamoci la Reality. Quel combattente di Koji Wakamatsu annuiva. Gli acciacchi ogni tanto si fanno sentire sulla mia e sulla sua schiena, da queste parti, soprattutto di sera quando l'aria della Croisette si fa umida, e ci ostiniamo a passeggiare tra le zone ombrose del porto, a sorseggiare pastis. Non siamo più giovani, eppure ancora non ci va di soffocarci nel sonno a vicenda con un cuscino in faccia. Quell'austriaco temo non abbia mai capito nulla dell'amour: credo che non sia mai stato nei Khaki Scout. L'altra notte sono capitato ad un'esibizione dai colori così forti e contrastati che mi ha ricordato le vetrate accese dei collegi di Friburgo, ma da quel che ho capito chiunque altro fosse stato da quelle parti pareva non ricordarselo. Spero di rincontrarvi presto, magari sull'autobus per il Bronx.
Suo, Hemingway (s.s.)

L'Amour nascosto:

“La mia mente ha preso il volo

Un pensiero uno solo
Io cammino mentre dorme la città (Holy Motors)

I suoi occhi nella notte
Fanali bianchi nella notte
Una voce che mi parla chi sarà? (Post Tenebras Lux)

Dimmi ragazzo solo dove vai,
Perché tanto dolore?
Hai perduto senza dubbio un grande amore
Ma di amori è tutta piena la città, (La noche de enfrante)

No ragazza sola, no no no
Stavolta sei in errore
Non ho perso solamente un grande amore
Ieri sera ho perso tutto con lei. (Beyond the Hills)

Ma lei
I colori della vita
Dei cieli blu
Una come lei non la troverò mai più (The We and The I)

Ora ragazzo solo dove andrai
La notte è un grande mare
Se ti serve la mia mano per nuotare (Moonrise Kingdom)
Grazie ma stasera io vorrei morire
Perché sai negli occhi miei
C'è un angelo, un angelo
Che ormai non vola più che ormai non vola più (De rouille et d'os)
Che ormai non vola più
C'è lei
I colori della vita
Dei cieli blu
Una come lei non la troverò mai più”. (Like someone in Love)

 

(“Ragazzo solo, ragazza sola”, testo italiano di “Space Oddity”, di David Bowie, ascoltabile nell'indimenticabile Io e te di Bernardo Bertolucci) (l.l.)



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