CANNES 66 – Tautologie ed effetti collaterali

la grande bellezza
Mettersi in scena al funerale, per Jep Gambardella e’ il modo più rivoluzionario e mondano di sentirsi vivo. E’ la farsa di Pulcinella, con il decesso e la resurrezione di tutti gli inguaiati del mondo, requiem per la morte (annunciata) del Cinema. Soderbergh, invece, al funerale di Liberace, ricostruisce la messa in scena nella testa di Matt Damon, come l’avrebbe concepita probabilmente un certo Andy Kaufman o Tony Clifton… Caro Jep: “Tu non mi guardi mai là da dove io ti vedo. Inversamente, ciò che guardo non è mai ciò che voglio vedere” (Jacques Lacan)           

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la grande bellezzaÈ molto meglio essere giovani, belli, ricchi e in buona salute, piuttosto che essere vecchi, brutti, poveri e malati". Oppure: "È meglio lavorare poco e fare tante vacanze, piuttosto che lavorare molto e fare poche vacanze". Le massime di Massimo Catalano, il filosofo dell’ovvio, il quale ci sarebbe stato a suo agio nei salotti destabilizzanti di Paolo Sorrentino, anche solo semplicemente per “umanizzare” quelli della notte. Nei primi minuti, accompagnando per la citta’ quel gruppo di turisti giapponesi, la tautologia visiva di Sorrentino assume una forma definitiva: dallo schiaffeggio con carrello (non e’ la versione aggiornata di Amici (Miei), pur volendo essere tanto commedia corrosiva) non giungono immagini della realtà. Passa e ripassa come un imbianchino, o come la piccola imbrattatrice coi colori, sulla tela bianca, ossessionato dalle prospettive, dal voler accarezzare e marmorizzare i suoi corpi, come icone del presente. E’ destabilizzante perche’ implode su se stesso il cinema di Sorrentino: le condizioni della concordanza con il mondo (il montaggio pop, il decadentismo poetico, i virtuosismi acrobatici di movimento, pensieri deboli allucinatori), le relazioni di rappresentazione si annullano l’un l’altra. Non bisogna vergognarsi della nostalgia, dice Carlo Verdone, nel monologo teatrale. Bisognerebbe assumere allora, fino in fondo, la condizione "debole" dell'essere e dell'esistenza, imparando a condividere con se stesso (autore) la propria infondatezza, se pur estetizzante. Sorrentino gioca probabilmente fuori ruolo, l'azione potrebbe allora rigenerarlo.

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behind the candelabraSabrina Ferilli chiede di scattare una seconda foto, perche’ la prima e’ venuta male: la bellezza ha assunto le forme del "non so che" nel periodo romántico (e nei passaggi più intimi) per poi farsi artificio, scherzo, citazione nei momenti di disperazione crepuscolare, di satira sociale e malinconia esistenziale. Mettersi in scena al funerale e’ poi l’effetto collaterale che “contagia” anche Steven Soderbergh di Behind the Candelabra e del suo Valentino Liberace (o liberaci?). Mettersi in scena al funerale, per Jep Gambardella e’ il modo più rivoluzionario e mondano di sentirsi vivo. E’ la farsa di Pulcinella, con il decesso e la resurrezione di tutti gli inguaiati del mondo, requiem per la morte (annunciata) del Cinema. Soderbergh, invece, al funerale di Liberace, ricostruisce la messa in scena nella testa di Matt Damon, come l’avrebbe concepita probabilmente un certo Andy Kaufman o Tony Clifton. Un’americanata barocca, ma poderosamente artigianale, di massello, come le bare, come quei piccoli souvenir sui titoli di coda. Ma Andy Kaufman e’ ancora vivo o no? Liberace e’ ancora vivo o no? Caro Jep: “Tu non mi guardi mai là da dove io ti vedo. Inversamente, ciò che guardo non è mai ciò che voglio vedere” (Jacques Lacan).           

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