#Cannes2016 – Blood Father, di Jean-François Richet

Rozzo, ignorante, ma efficace. Il regista francese e Mel Gibson nel loro momento di follia, tra derive tarantiniane e il polar francese. Con u inseguimento in moto alla Mad Max

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Non è passato il ‘momento di follia’ per Jean-François Richet e Mel Gibson. Con l’estetica del videoclip e il cuore del B-movie, Blood Father è pervarso dal sangue e dal fuoco. Sparatorie che appaiono una deriva da Tarantino mescolata con la malinconia del polar francese. Una trama che va dritta alla conclusione senza preoccuparsi eccessivamente di approfondire le motivazioni dei personaggi.

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Mel Gibson è John Link, un uomo dal passato violento. Ora vive in una roulotte e fa tatuaggi. Ma dovrà riprendere le armi in mano per andare a salvar la figlia che è nelle mani di spietati trafficanti di droga.

La partenza è sparata, come se Richet dovesse recuperare tutto il terreno perduto da Nemico pubblico (dopo la parentesi opaca di Un momento di follia) e lo stesso Gibson stesse cercando di riassestarsi alla ricerca di un equilibrio perduto, tra Arma letale e I mercenari 3. Ma forse Blood Father, pur entrando in pieno nelle linee di quel romanticismo violento del cinema di Richet – che sogna Melville, guarda a Carpenter e schizza rapido come Leterrier – potrebbe essere anche il film che Mel Gibson avrebbe voluto fare come regista, visto che dietro la macchina da presa l’attore australiano è assente da 10 anni (Apocalypto) anche se il suo nuovo lavoro, il bellico Hacksaw Ridge, è in post-produzione.

Blood Father è quel tipo di vengeance-movie rozzo, anche ignorante, ma efficace. Che si autocita (Nemico pubblico) che cerca quasi l’impossibile equilibrio tra l’action transalpino con tracce di Luc Besson e quello statunitense. Con il cielo tra uno degli ultimi Gibson (Viaggio in paradiso) e un horror australiano e la grandiosa scena dell’inseguimento in moto che sembra arrivare da Mad Max. E accanto al protagonista c’è anche la presenza di Erin Moriarty, con cui Richet sembra creare quel legame con Gibson simile a quello che Fuqua ha costruito tra Denzel Washington e Chloë Grace Moretz in The Equalizer. E se il rapporto padre-figlia può apparire forse l’anello più debole del film a Richet-Gibson sembra importargliene poco. E in questo contesto, a noi ce ne importa anche di meno.

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