#Cannes2016 – Captain Fantastic, di Matt Ross

Accolto da grandissimo entusiasmo, Captain Fantastic, opera seconda dell’attore Matt Ross, rispecchia in pieno i requisiti da Sundance per il pubblico europeo. In Un Certain Regard

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Ad una prima impressione, quella messa insieme da Ben, non sembra una famiglia ma un branco di animali. Lontani dal mondo civilizzato, immersi nelle foreste tra le montagne, l’uomo e i suoi sei figli seguono un rigido programma di allenamento fisico, di sopravvivenza in condizioni rischiosissime e di audace home-schooling. Il gruppo, però, non è una scontato e inquietante setta survivalist di invasati in attesa della fine del mondo. Ben, infatti, ha cresciuto la sua prole con l’obiettivo di ricreare, almeno in piccolo, una sorta di perfetta Repubblica platonica, un’Utopia naturale dove i suoi ragazzi possono crescere come dei veri e propri geni incontaminati. L’obiettivo del padre non si può certo definire fallito: progressisti, anti-capitalisti e geniali, abituati a festeggiare il Noam Chomsky Day e non il Natale, interessati a creare dibattiti su Lolita o su I Fratelli Karamazov, i suoi ragazzi sono esseri unici (come i loro assurdi nomi inventati vorrebbero enfatizzare), frutti di un progetto genitoriale borderline (o di un esperimento antropologico oltre ogni limite). Il lutto improvviso della loro madre, promotrice convinta di questo esilio ma lontana da anni per un ricovero in una centro d’igiene mentale, romperà i fragili equilibri di questa situazione cristallizzata, costringendo Ben e la sua famiglia a rivedere i propri ideali intellettuali/isolazionisti.

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Accolto dal grandissimo entusiasmo dagli spettatori della Un Certain Regard, Captain Fantastic, opera seconda dell’attore Matt Ross, rispecchia in pieno i requisiti minimi richiesti da un certo pubblico gauche caviar, rimasto ovviamente conquistato dalla pellicola. Perfetto esempio di sundance movie, il film di Ross dietro un’indipendenza produttiva di facciata, colleziona una lunga sequenza di elementi topici del genere (la luce rarefatta, la sensibilità, le cover acustiche, personaggi teneramente freak, etc.) abbinata ad un ostentata, furba e superficiale, autocritica del sistema sociale statunitense. Un mix che, pur entusiasmando i gusti ideologici degli spettatori europei, nasconde la calcolata intenzione di vendere, semplicemente, un buon prodotto di maniera. Captain Fantastic, elogio di questo padre sui generis e irresistibile, è dunque un film che funziona nel suo essere prodotto (di genere) di consumo da vendere, comprare e godersi, ma che non può (e non deve) essere affrontato per quello che non è. La grandissima prova di un trascinante Viggo Mortensen, figura paterna iconica e affascinante, e lo script esilarante della prima, riuscitissima, parte, sono due segni chiari di una buona pellicola, emblema di un’industria e di un sistema “indipendente” che ha ormai preferito la facile e comoda dimensione commerciale del “ben fatto” e dell’asettico beneplacito generale, alla sperimentazione visiva e concettuale provocatoria e divisiva.

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