#Cannes2016 – Eshtebak (Clash), di Mohamed Diab

Eshtebak, dentro alla confezione godibile e commerciale, è la fotografia di un paese ottusamente divisivo destinato alla disperazione. Il film di apertura della Un Certain Regard.

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Egitto 2013. In piazza si sta consumando l’ennesima giornata di sangue, l’ultimo atto della guerra civile tra i sostenitori dell’esercito e del generale Al-sissi e gli islamisti dei Fratelli Musulmani del presidente Morsi. Gli egiziani, degli opposti schieramenti, da giorni stanno invadendo le strade de Il Cairo, accecati dall’odio politico-religioso e dal desiderio di punire i “traditori”, circondati da forze dell’ordine confuse ad un passo dall’isteria. In questo clima incandescente, per una sequenza di assurde circostanze, un gruppo eterogeneo di cittadini si ritrova chiuso dentro uno squallido cellulare dell’esercito, in una coabitazione coatta, senza meta e in balia delle violenze. Mohamad Diab con Eshtebak, la sua seconda regia, per parlare della situazione del suo disgraziato paese, torna ai feroci giorni del colpo di stato militare. Il suo film, scelto per aprire Un Certain Regard, non vuole vendersi come un’opera autocommiserativa o retorica. Anzi, scegliendo le furba e appariscente strada “occidentalizzata” del ritmo e dell’azione, prova a dare un nuovo, claustrofobico e disperato sguardo all’Egitto.

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Diab, dunque, si chiude all’interno di questo fatiscente furgone (scelta narrativa ed estetica di gran moda oggi) e ricrea al suo interno un gruppo di personaggi perfetti per rappresentare tutte le realtà in cui è divisa la società egiziana. Dentro al cellulare, infatti, troviamo islamisti fanatici e laici arrabbiati, giornalisti in cerca del servizio della vita e ragazzi sfortunati. L’odissea di questo sfortunato gruppo di persone diventa, neanche troppo velatamente, la sineddoche ideale. In Eshtebak, non mancano i simboli e i riferimenti facili, anche per lo spettatore meno esperto della situazione mediorientale e egiziana. I protagonisti politici diventano evidenti e i collegamenti al presente sono subito riconoscibili (dietro ai riferimenti ai viaggi in Siria dei sostenitori dei Fratelli Musulmani, si apre, per un attimo, un mondo sulle origini del terrorismo odierno). Diab, dunque, dentro ad una godibile confezione commerciale, piena di riusciti momenti leggeri, consegna al pubblico internazionale, quello probabilmente in cerca della via più semplice per crearsi un’opinione su realtà distanti, la fotografia di un paese ottusamente diviso. Il suo Egitto è, infatti, vittima di un popolo che nonostante un sentimento istintivo di solidarietà e fratellanza (la divertente scena del canto) si è ormai consegnato all’odio, destinato a precipitare sulle macerie disperate, senza nessun vincitore.

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