#Cannes2016 – I tempi felici verranno presto, di Alessandro Comodin

Un film ambizioso ed ardito, in qualche modo anche denudato da qualsiasi abito strutturale e concettuale, vissuto dal regista come un atto di liberazione del filmare. Alla Semaine de la Critique

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L’insistenza del tempo interiore vissuto sulla carne della gioventù, una sorta di fisiologia dello spirito che si affaccia con turbamento alla realtà della vita, o se preferite un coming of age desaturato di ogni romanticismo e di ogni eventualità. Dopo L’estate di Giacomo, Alessandro Comodin si spinge in una dimensione ancora più profonda del rapporto tra tempo della giovinezza, interferenza della natura e complessità della relazione, mettendo in campo un film come I tempi felici verranno presto che materializza in forma metaforica e surreale un discorso sull’essere nel mondo, sulla dinamica fisica e spirituale del tempo vissuto. Un film ambizioso ed ardito, in qualche modo anche denudato da qualsiasi abito strutturale e concettuale, vissuto dal regista come un atto di liberazione del filmare, una corsa ad occhi bendati nella vertigine del mettere in opera un dispositivo filmico senza la pretesa della complicità narrativa.

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alessandro comodin i tempi felici verranno prestoSin dal titolo, il tempo sembra una dimensione tanto fondamentale quanto annullata: la parabola che Comodin allestisce è infatti astratta dal presente e proiettata in una sequenzialità tanto trascorsa quanto a venire, in una scansione degli eventi che tiene insieme ciò che è stato e ciò che sarà. La fuga su cui si apre il film è una vertigine della gioventù scritta sui corpi esili e immaturi di due ragazzi, Arturo e Tommaso, che scavalcano un muro e fuggono in un bosco verso una libertà che non ha ragione: li immagini un po’ come due controfigure di Antoine Doinel finite prigioniere di una natura selvaggia, invece che sospese sull’onda del mare. Potrebbero essere anche due partigiani fenogliani, così per puro scarto di immaginazione residuale, fuga prospettica incongrua che, da spettatori di un film come questo, ci si può permettere. Ma al di là di tutto Arturo e Tommaso scrivono nella loro corsa una fuga che è dinamica di libertà dalla costrizione, quindi figura del contrasto tra l’istituto e la natura, in cui Comodin sembra materializzare il perimetro del suo film. Il controcampo in libera associazione è offerto nelle scene seguenti – e molti anni più avanti – dalla narrazione popolare della liaison dangereuse tra una donna di un borgo, Ariane, e un lupo che sbrana uomini e animali nel bosco limitrofo: forse un licantropo, forse lo spirito lontano di uno di quei due ragazzi… L’incombenza di uno spirito selvaggio, di una crudeltà assassina che governa la più concreta e fondamentale wilderness della realtà, è la traccia che fa da ordito semantico a questo film così spudoratamente surreale, dove persino l’acqua dilava nel fango la purezza dei corpi in libertà, dove il nemico sbuca dall’ombra delle fronde, dove la bestia si accuccia negli antri di una notte che occupa la vista.

i tempi felici verranno presto alessandro comodinIn questo suo secondo lavoro, Comodin sembra invertire di segno l’intero universo de L’estate di Giacomo, che era film di pura relazione, di concentrazione solare e pienezza della natura. Qui tutto è franto, interrotto, contraddice l’istinto della fuga da cui il film nasce e introduce l’esperienza dell’occupazione, della prigionia, della concentrazione, della morte: la fossa su cui Ariane insiste, il fango che sporca nell’acqua il suo corpo, l’agguato dolce che subisce mentre sta nel lago, il fuori campo di un gesto assassino che sembra quasi l’incubo di Giacomo finito nel film sbagliato… Poi c’è la prigionia – di nuovo – il cortile di un carcere in cui la relazione blandisce la ferita e lo spaesamento, l’eterno ritorno di un inizio che è morte e nascita allo stesso tempo. Perché tutto sommato questo è un film che racconta la vita come inutile fuga in avanti, come parto della cattività, come liberazione nella natura selvaggia L’impianto sostiene lo scarto tra la sostanza del filmare e la immaterialità del pensare: non mancano i difetti a questa opera seconda, ma Comodin se ne fa carico con ambizione e sincerità, tenendo a nume tutelare l’immortale Robert Bresson, angelo custode delle giovani figure smarrite, delle foreste in cui smarrirsi, degli asini che patiscono i colpi della vita come i morsi dei lupi…

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