#Cannes2016 – L’ultima spiaggia, di Thanos Anastopoulos, Davide Del Degan

In uno storico stabilimento balneare non lontano dalla città di Trieste, uomini e donne ancora prendono il sole separati da un muro che scende per qualche metro in mare

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Presente nella sezione “Proiezioni Speciali”, girato a quattro mani, dal regista greco, trapiantato in Italia, Thanos Anastopoulos (autore di Correction e The Daughter) e dal triestino David De Degan (autori di cortometraggi e al suo primo lungometraggio). Documentario classico, girato trascorrendo quasi un anno all’interno di uno storico stabilimento balneare non lontano dalla città di Trieste. Il mondo in una città, era Trieste nella Seconda guerra mondiale, centro di spionaggio internazionale tra antititini, titini, nazionalisti, stalinisti, militari statunitensi, inglesi, italiani. Città di confine, di limiti, come nello stabilimento “Pedocìn”, piccolo microcosmo in cui ancora uomini e donne fanno il bagno e prendono il sole seperati da un muro che per qualche metro è bagnato dall’acqua. Tre metri di frontiera ancora in piedi, dopo che i confini politici e geografici sembrerebbero scomparsi. Anche se oggi non è così per l’Austria o l’Ungheria… si racconta della quotidianità, tra canzoncine nostalgiche sconce, giochi di società, eventi del passato. La solitudine, l’allegria, la spensieratezza, il vento che spira a scompigliare il mare e a mescolare un universo emancipato asburgico, balcanico, folle. La disinvoltura davanti alla mdp dimostra quanto quel lido anomalo, solcato da una piccola barriera di cemento, sia molto meno reale dei muri che abbiamo nella testa.

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L’opera ha la forza di mostrare, attraverso una realtà folkloristica e goliardica, le situazioni estreme su cui non è possibile intervenire, come l’ultima, invalicabile muraglia che racchiude e plasma individui e società: la morte, appuntamento segreto, certo nel suo presentarsi, incerto nella data. In quel lido, anche fuori stagione, l’uomo, gettato nei flutti del tempo, sa di dover morire, s’interroga sul senso del suo inaggirabile destino e reagisce con incredulità, timore o speranza di fronte alla prospettiva del proprio irreversibile mutamento. Per comprendere davvero il limite, bisognerebbe conoscerlo da entrambe le parti: per tracciare un limite al pensiero, si dovrebbe poter pensare ambo i lati di questo limite, si dovrebbe, dunque pensare quel che pensare non si può. Rispetto al passato, esistono oggi, indubbiamente, molti più confini cancellati o incerti. Sfumano ad esempio le differenze tra le età della vita e tendono a eclissarsi o a perdere di solennità alcuni riti di passaggio. Ecco, è qui che gli autori sembrano voler poggiare, in particolar modo, lo sguardo, paradossalmente cercando di riergere dei limiti, ricavare delle distanze per poterci abitare e non devastare. Sull’ultima spiaggia non si rovesciano numeri ingenti di profughi, perseguitati politici, esiliati o migranti in fuga dalla fame. Non si può cadere in una velleitaria iconoclastia che scambia tutti i confini per pregiudizi da abbattere e, dall’altra, di santificare gli ostacoli che bloccano e mortificano la possibile fioritura di concrete speranze in una vita migliore.

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