#Cannes2016 – Pablo Larrain racconta il suo Neruda “vero, pensato o solo sognato”

Il pubblico della Quinzaine, dove e’ stato presentato stamani, ha apprezzato il gioco di rimandi letterari e cinefili che Larrain imbastisce per raccontare il periodo di clandestinita’ del poeta

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“Non volevamo fare un film su Neruda”, spiega Pablo Larrain al pubblico del Q&A in coda alla proiezione di stamattina del suo nuovo lavoro alla Quinzaine di Cannes, “ma un film nerudiano”.
Questo “falso biopic”, come lo chiama il suo regista, ha ricevuto un’accoglienza particolarmente calorosa alla salita sul palco di Larrain e di parte del cast di sodali, Luis Gnecco nel ruolo del grande poeta, e Gael Garcia Bernal in quella del poliziotto inviato dal governo di Videla per mettere lo scrittore dissidente e comunista dietro le sbarre.
Il pubblico della sala del Marriott sulla Croisette ha manifestato il suo apprezzamento per il gioco di rimandi letterari e cinefili che Larrain imbastisce con i personaggi e lo spettatore, tra noir e procedimenti cari alla nouvelle vague, “una fantasia incentrata su di un artista deciso ad inventare il suo destino attraverso la creazione del proprio stesso mito”, come ha spiegato Gnecco.
Il lungo e impegnativo lavoro di sceneggiatura si e’ ispirato in qualche modo ad una suggestione contenuta nel discorso di accettazione del Nobel tenuto da Neruda, in cui l’artista ricordava le pagine scritte durante il periodo di clandestinita’ e esilio come incerte tra cose vissute, pensate o anche solo sognate.

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E in effetti il film si muove libero, disinvolto e spesso solarizzato, come un frame sul punto di sbiadire per sempre, tra immaginario di genere e leggenda popolare, struttura programmaticamente a vista e raddoppi continui tra i due duellanti lungo una dimensione di frontiera. A questo proposito Gael Garcia Bernal ricorda come il lavoro di puro istinto fatto per costruire il suo detective sul set giorno dopo giorno, nell’intenzione di dare un disegno definitivo del personaggio solo al momento del montaggio, abbia fatto un salto in avanti quando lui e Larrain hanno iniziato a focalizzarsi sulla sua natura di figlio bastardo di una prostituta che si convince di avere il sangue dell’eroe della polizia cilena Peluchoneau. Ecco dove lavorare per instaurare questo doppio filo che lega i due protagonisti solo apparentemente agli antipodi.

Larrain continua a far sedimentare la storia della sua terra sul fondo delle impalcature del proprio cinema, anche se si dice convinto che “un film possa agire sulla societa’ e produrre un cambiamento reale solo in maniera molto lenta, e con il passare del tempo.”
Questo suo Neruda racconta del sogno di cambiamento che il Cile vide in quegli anni, un’utopia schiacciata dall’incubo che stava per sopraggiungere: e’ ancora possibile ritrovare tracce di questo sogno al giorno d’oggi? Per il regista la chiave e’ nella ricerca della “fratellanza”, una parola profondamente cara a Pablo Neruda, che diventa cruciale in una sequenza del film in cui una militante del partito chiede se, una volta instaurato il comunismo in Cile, gli uomini sarebbero diventati tutti uguali a lei, che pulisce “la merda dei borghesi” dall’eta’ di 11 anni, o magari tutti uguali a Neruda, che “mangia a letto e fa l’amore in cucina”.

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