#Cannes2017 – 24 Frames, di Abbas Kiarostami

Silenzio. Verrebbe da star zitti, abbandonare la tastiera e arrendersi a questi 24 sublimi fotogrammi. Per concedere il giusto tempo al testamento artistico di uno dei più grandi cineasti della storia

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I always wonder to what extent the artist aims to depict the reality of a scene. Painters capture only one frame of reality and nothing before or after it. For the “24 Frames” I decided to use the photos I had taken through the years. I included 4’30” of what I imagined might have taken place before or after each image that I had captured.
Abbas Kiarostami

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Silenzio. Verrebbe da star zitti, abbandonare la tastiera e arrendersi a questi 24 sublimi fotogrammi. Per concedere il giusto tempo al testamento artistico di uno dei più grandi autori del secolo scorso che lancia-e-lascia il suo sguardo nel futuro… nutrendosi ancora dei nostri sguardi. Proprio come alle origini. Ecco allora, partiamo da qui: già nel suo magnifico Future Reloaded del 2013 Kiarostami tentava di associare il futuro del cinema alla sua origine lumièriana, il digitale leggero al sorriso fanciullo dell’innaffiatore innaffiato, quindi l’immagine cinematografica a uno sguardo sul mondo che possa sopravvivere di dispositivo in dispositivo. E 24 Frames sembra portare questa riflessione a sommi livelli, tornando proprio alle “origini” del medium, quando narrazione e montaggio (apparentemente) erano “fuori” dal grande schermo. Ed è proprio lo sguardo dei Lumière a concedere il movimento a queste 24 immagini frontali – il progetto inizialmente si intitolava 24 Frames before and after Lumiere – partendo da I cacciatori nella neve di Bruegel, quindi dal quadro/fotogramma che nel cuore del ‘500 tentava di restituire l’azione ai corpi e il montaggio alle situazioni. Tentava il cinema prima dei Lumière, appunto. Ai soggetti di quel quadro Kiarostami aggiunge pian piano altri soggetti in movimento, con un uso del morphing digitale che assorbe e restituisce l’esperienza dei “panorami” del pre-cinema, aprendo il Frame n. 2 sul movimento dei cavalli (Muybridge?), quindi al cinematografo che nasce nel bianco della neve. Il bianco tutto potenziale del Grande Schermo…

Hunters_in_the_SnowLe origini quindi. Cosa regala alle millenarie arti visive questo nuovo prodigio di nome “cinema” sul finire del XIX secolo? Il movimento delle immagini, certo… ma soprattutto la dialettica con un fuori campo. Ossia la possibilità di alludere a un dentro e un fuori quel quadro, un’apertura del visibile sganciata dalla dittatura del visto. Insomma: dove stanno andando gli operai all’uscita della fabbrica Lumière? E quanti altri passeggeri scenderanno o saliranno dal treno che sfonda lo schermo à La Ciotat? Kiarostami parte proprio da queste domande: immagina il fuori campo delle sue stesse fotografie (scattate durante gli anni), ossia un prima e un dopo il momento magico del clic, per tentare di restituire una “storia”, una “narrazione”, a questi piccoli quadretti-animati di mucche, oche, cavalli e soprattutto volatili. Animali che si cercano, si rincorrono, si amano, lottano e fuggono via… vivono insomma. Come fare? Ci sono molte finestre, porte, balconi, finestrini, in questi 24 fotogrammi: tante soglie che il cinema non attraversa mai, rispettando il corteggiamento tra corpi e immagini, azione e musica, e scoccando così la scintilla lumieriana del cinema. Oggi, però! Perché la computer-generated imagery (ri)anima questi frame nel nostro tempo, quindi storicizza il dispositivo mentre allude a una memoria secolare. Ogni frame ha un passato (l’immagine analogica come potente referente), ha un futuro (la manipolazione digitale come costruzione neo-pittorica di mondi), ma ha soprattutto un presente vivo nei nostri occhi affabulati. Il Kiarostami pittore incontra il Kiarostami fotografo e trova nella nuova ontologia digitale una paradossale origine per riconcepire il cinema.

24 framesEccoci al 24esimo fotogramma, appunto. Quello che dice la verità su tutti i precedenti. Quello dove intravediamo una persona addormentata davanti al monitor di un computer piazzato sotto una finestra… che dire? Una composizione di una potenza disarmante, commovente, assoluta, che riassume una carriera, forse ancora di più… con il cinema classico hollywoodiano (e i suoi baci in primo piano) che balenano in un programma di montaggio ancora aperto. Una manualità al lavoro, nella virtualità dell’esperienza. È il cinema, oggi più di ieri, a concedere un passato a ogni immagine in movimento. Il cinema che sopravvive dopo la morte della pellicola (il proprio corpo…) e del grande schermo (il proprio spazio…) nello sguardo che getta sul mondo (resta quella finestra, ci dice Kiarostami). Silenzio ora. Mentre i 24 fotogrammi (non) finiscono con il The End di rito, stiamo ancora ascoltando le dolci note di Love Never Dies… e sì, caro Abbas, è proprio così.

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