#Cannes2017 – Hikari (Vers la lumière), di Naomi Kawase

Da Le ricette della signora Toku il cinema della regista giapponese sembra essersi pesantemente involuto. Kawase non si fida più delle sue immagini e ha bisogno di spiegarle. In concorso

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I volti, i luoghi. Con le soggettive di chi cattura dettagli. Con gli occhi dell’osservatore, del fotografo, del cineasta. Vers la lumière (in originale Hikari) si apre proprio nella spinta a catturare dettagli. Gli sguardi sulla città. Persone che aspettano l’autobus. Lo scuolabus. Il taxi. E ancora, la stazione, la banca. Con questo inizio, il cinema di Naomi Kawase sembra nuovamente ispirato dopo il passo falso di Le ricette della signora Toku, presentato proprio a Cannes nel 2015 a Un certain regard. Ma quella costruzione artificiale prima impensabile nell’opera della regista giapponese ritorna e, peggio, si amplifica ulteriormente in questo nuovo film.

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Misako lavora come audio-descrittrice dei film. Durante una proiezione incontra un celebre fotografo che ormai non ci vede quasi per niente. E tra loro nasce un forte sentimento che li unisce.

vers la lumièreMisako rappresenta in pieno quello che è diventato il cinema di Naomi Kawase oggi. Non si fida più delle sue suggestioni, delle sue immagini. Ma ha bisogno di spiegarle, di renderle chiare a un pubblico più ampio. Forse in attesa di quella Palma d’oro che aspetta a Cannes da anni, dopo essere già stata in competizione al festival quattro volte.

Si è vero. Vers la lumière contiene tutto il suo cinema: la transitorietà della vita, il rapporto con la natura ed elementi che ritornano come il vento, il mare. Qui in più, anche nella dichiarata programmaticità del cinema, c’è soprattutto la luce. Quella che si infiltra nelle immagini e sembra tagliarle e separare la protagonista con il fotografo. Ma soprattutto quella del cinema, che permette di reinventare ancora i volti e i luoghi. Di catturare le emozioni dei visi, anche con dettagli ravvicinatissimi. Di attraversare la città. Con le luce della notte e i grigi del giorno. Poi c’è il cinema. Nel suo hikai naomi kawasedichiarato potere evocativo anche senza immagini. Con il potere della parola che evoca nella testa altre immagini. Ed è qui che c’è proprio la separazione netta, lo scarto tra quelle immagini nate dalla scrittura e quello che vede lo spettatore. Attraverso l’uso insistito della musica del pianoforte. Dichiarando, in un certo senso, che quelle parole e quelle immagini non bastano più. Sembra una dimostrazione di forza. Invece è una resa. Dove in ogni inquadratura, dalla caduta del fotografo per strada con il furto della sua macchinetta alla macchina a mano che lo segue alle spalle, fino alla ritorno di Misako nei luoghi e nelle voci dell’infanzia, si sente tutto il peso di una costruzione che prima era impensabile. Dallo smarrimento di The Mourning Forest, al lavoro sul cinema che attende la perdita del bellissimo Still the Water, presentato in competizione a Cannes nel 2014. Anche Vers la lumière è un film sulla morte. La perdita della vista corrisponde a quella della vita. Le soggettive sfocate, indistinguibili del fotografo, sono come una lenta agonia. La stessa di un cinema che non cerca più l’essenza della sua luce, ma lo utilizza some elemento primario per il suo manualetto sulle emozioni di uno sguardo che ora si sta sgretolando come la statua della donna di sabbia.

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