#Cannes2017 – Okja, di Bong Joon-ho

E’ facile immaginare che Mija e Okja possano diventare presto figure amatissime dell’immaginario pop: se così fosse, Netflix avrà forse trovato davvero il suo prodotto definitivo. In concorso

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E’ talmente una creatura interna ai codici di Netflix, questa nuova di Bong Joon-ho, che la squadra di animalisti guerriglieri potrebbe tranquillamente essere composta dagli eroi di Sense8, multietnici e multikulti sin dal look e dal nome di battaglia dato dalla pigmentazione della capigliatura (Biondo, Rossa, Argento ecc): e in effetti, per tutto il film, uno s’immagina cosa avrebbero combinato le Wachowski con le numerose sequenze in cui il “supermaiale” OGM mette a soqquadro la metropolitana e i supermarket di Seul (Murnau!), le ottuse parate a Battery Park a New York, le catene di montaggio della morte dei centri di macellazione industrializzata. Ovvero quei momenti in cui si esplicita l’anima di opposizione in centrifuga colorata portata avanti dal film ai meccanismi della filiera alimentare capitalistica, ancora una volta in pieno accordo con la visione progressista che fa da struttura madre dell’intero catalogo Netflix, si tratti di serialità, documentati, o produzioni originali come questa. Organic, noglobal nell’afflato spirituale, indipendente a partire dall’immaginario assolutamente consapevole e di “intelligenza democratica” che tira in ballo, compreso il finale dal retrogusto per nulla riconciliante (anche la resistenza fa affari col potere per comprare le proprie vittorie…).

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Fa bene Cannes ad avere paura di una formula del genere, quando si tratta di guardare poi con maggiore precisione all’opera in sé? Ad essere geneticamente modificato in Okja è innanzitutto l’organismo stesso del film, dalla fotografia ultrastilizzata e fumettosa di Darius Khondji alle caratterizzazioni esagitate dei personaggi (tolta la piccola eroina, davvero una piccola combattente degna delle migliori rivoluzioni wachwoskiane – e d’altra parte già Snowpiercer era un film che in qualche modo dialogava con gli universi di militanza blockbuster alla Matrix).
E però nel paradosso del dover girare un manifesto ambientalista e la favola definitiva della

swinton-okja dottrina #govegan (seppure la piccola e il nonno si nutrano di pesce sin dalla prima sequenza) attraverso l’utilizzo centrale di un effetto speciale in CGI, quello del megasuino creato in laboratorio per andare incontro al proprio destino di nutrire gli americani stupidi e affamati, inaspettatamente Bong trova la misura più tenera ed umana del proprio apologo. Nel rapporto spesso commovente tra la creatura e la piccola protagonista, tutto fatto di sguardi e gesti minimi, di addii disperati e riabbracci struggenti, ritrovi una dimensione che è, com’è ovvio, squisitamente cinefila, e che infatti passa da Spielberg a Miyazaki apertamente tirati in causa, ancora una volta come da purissima tradizione Netflix.

Il contorno di star engagée del gotha indie (Tilda Swinton, Jake Gillenhaal, Paul Dano) e l’approccio gioiosamente disperso di ambientazioni in giro per il mondo, tra le montagne coreane e i grattacieli di Manhattan, sempre in accordo con il bingewatching seriale d’ultima generazione, è a conti fatti allora meno efficace della classicissima storia di un’amicizia sincera e profondissima tra una bambina e il suo animale di compagnia: la tredicenne Ahn Seo-hyeon è il vero fenomeno scatenato del film, difficile resistere al suo broncio corrucciato e cocciuto. E’ facile immaginare che Mija e Okja possano diventare presto figure amatissime dell’immaginario pop (d’altronde, come ormai tutti sappiamo sulla Croisette, il film è online già tra un mese o poco più): se così fosse, Netflix avrà forse trovato davvero il suo prodotto definitivo.

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