#Cannes2017 – Une femme douce. Incontro con Sergei Loznitsa

Il cineasta ucraino, per la terza volta in concorso dopo My Joy e In the Fog, ha presentato oggi il suo nuovo film che è un libero adattamento del romanzo di Dostoevskij

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Dopo My Joy (2010) e In the Fog (2012) il cineasta ucraino torna in concorso al Festival di Cannes per la terza volta con Une femme douce, che è un libero adattamento del romanzo di Dostoevskij già portato sullo schermo nel 1969 da Robert Bresson. L’idea l’aveva in testa da un po’ di tempo: “Era da un bel po’ che volevo fare questo film. Il primo spunto l’ho avuto quando stavo girando My Joy e durante l’ultimo giorno di riprese l’ho raccontato al mio capo-operatore. L’ho girato solo oggi perché era complicato da realizzare e montare. Il mio film ucraino lo farò l’anno prossimo”. Poi riflette sul rapporto tra documentario e finzione: “Posso dire che i miei documentari sono anche un po’ dei film di finzione. C’è un passaggio del film che poteva essere un frammento tipico del documentario, dove si parla della mano di una donna che è stata ritrovata dal marito in brandelli. Questa storia l’ho scoperta nel 1984, ho trovato che era interessante e che potevo collocarla in questa vicenda”.

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Parla poi della collaborazione con il direttore della fotografia Oleg Mutu: “È il terzo film che giro con lui che è di origini moldave. Da quando l’ho incontrato, non ci siamo più separati. Non abbiamo bisogno di parlare molto per capire quello che bisogna fare. Già riesce a lavorare benissimo sul piano della drammaturgia. Ed è riuscito a salvare letteralmente una scena del film. Ma non vi dirò qual è. Spero di continuare a lavorare con lui e penso che sia uno dei migliori direttori della fotografia del mondo”.

une femme douceCi si chiede se ci sono degli elementi politici precisi legati a questo film, soprattutto a Putin: “Non c’è un riferimento o un personaggio politico preciso in questo film. Penso solo che ognuno di noi sia responsabile di quello che succede. Per questo nel film ho inserito anche la scena del banchetto, che è quello dei rappresentanti del popolo che è apposta invitato vicino agli uomini politici. Le persone che costeggiano il potere non sono direttamente responsabili ma sono comunque complici”. Sulla lunghezza della scena del banchetto: “In realtà la volevo fare più lunga. Ho dovuto lottare con me stesso per evitarlo. Per me dura esattamente il tempo necessario per esprimere quello che desideravo raccontare”.

Sugli attori: “Nel 2009 sono andato a un festival di teatro dove sono rimasto molto impressionato dalla troupe. Sono stato colpito dagli attori e gli ho chiesto di lavorare per me. In questo film ci sono almeno dieci interpreti che arrivano da lì. Ci sono 26 attori che fanno questo lavoro nel cast. Gli altri sono non professionisti. Nel 1991 avevo visto poi un volto nella folla che mi era rimasto impresso. E ho pensato che la protagonista di Une femme douce doveva avere un’espressione simile. E mi sono ricordato che un’attrice con una faccia simile l’avevo vista in quel teatro”. Chiude infine con l’ambientazione: “Si, il film è ambientato nella Russia di oggi. Ma può essere anche una Russia eterna, anche quella sovietica o dell’Impero russo. E c’è anche la storia della cultura russa in tutti i campi che mi ha permesso di fare questo film. E che ho deciso di girare qui e non in Ucraina perché lì non ci sono canzoni dei prigionieri”.

 

 

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