#Cannes2018 – Girl, di Lukas Dhont

Il tempo del cambiamento nell’attesa completa del cambio di sesso in questa imperfetta ma comunque riuscita opera prima del cineasta belga. A Un certain regard

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Una routine ossessiva. Fatta da gesti ricorrenti, da riti quotidiani: accompagnare il fratello piccolo a scuola, sottoporsi ad estenuanti lezioni di danza o a vistite dal medico. Perché il sogno di Lara è proprio questo: diventare una stella del balletto. Ha cominciato più tardi delle loro coetanee. Quindi deve recuperare. E il tempo è un elemento fondamentale in Girl, primo lungometraggio del cineasta belga Lukas Dhont, dove l’ambizione nella danza è ripresa dal suo corto Corps perdu (2012). Il tempo che è quello soprattutto del cambiamento completo da mascho a femmina. Lara è in una fase di transizione. Dall’esterno si vede che è una ragazza. Si sottopone a cure ormonali in attesa dell’operazione.

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Tutto sul suo volto. Da cui fa trasparire tutte le sue emozioni e gli stati d’animo come riflesso. Su cui emerge soprattutto l’intenso rapporto con il padre, che l’appoggia e la sostiene totalmente nella sua scelta e cerca di tirarla su nei momenti di difficoltà. C’è un momento particolarmente felice di un dialogo tra i due dove i loro visi sono alternativamente messi a fuoco dentro la stessa inquadratura.

Dhont assime il punto di vista di Lara. Come una continua semi-soggettiva. Si riescono a guardare gli altri personaggi attraverso i suoi occhi. Il suo volto ora sorride, ora è preoccupato, ora è in lacrime. Ed è inquieto mentre guarda le sue compagne del balletto. La mdp le sta addosso. La pedina e l’accompagna.

Il film è estremamente preciso nel far emergere la sua fisicità: i piedi che sanguinano, la sua sofferenza fisica nelle performance. Il cineasta sceglie un unico punto di vista. Qui è una risorsa più che un limite. Non pone Lara (interpretata da Victor Polster, anche lui al suo primo film) in una situazione di disagio esterno. Appare abbastanza integrata a scuola e nella famiglia è un sicuro, quasi materno, punto di riferimento. Anche se in una scena nello spogliatoio le altre ragazze vogliono fare chiarezza sulla sua sessualità.

Dhont lascia emergere tutte le forme del (suo) desiderio. I suoi sguardi sulle cose, sugli altri, sono determinanti. A iniziare dal discreto voyerismo dalla finestra del coetaneo che abita nel suo stesso edificio. Dal momento che iniziano i turbamenti, Girl perde leggermente d’intensità. Masculin/Feminin, in un equilibrio sempre precario. E il film non riesce a mantenere l’impatto di tutta la riuscitissima prima parte nella ripetitività delle azioni quotidiane. E poi rischia di sbracare in pieno poco prima del finale. Al di là dei limiti, Girl è comunque un film che, nel complesso, funziona. Forse on ha ancora il respiro del lungometraggio. Ma è profondamente sentito. E probabilmente per questo a un certo punto la materia narrativa va in riserva.

 

 

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