#Cannes2018 – Le grand bain, di Gilles Lellouche

Destinato a far impazzire i botteghini in patria, Lellouche gestisce con il respiro giusto l’incredibile anima fragile e umana che innerva la struttura da commedia proletaria inglese. Fuori concorso

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La questione del respiro è fondamentale quando ci si approccia agli sport acquatici, e la tentazione di trasformarla in una metafora esistenziale ha sicuramente accarezzato chiunque si sia trovato a frequentare le piscine anche solo per qualche tempo: trattenere il respiro, imparare a controllarlo e come sfruttare al massimo i momenti in cui puoi inspirare aria fuori dall’acqua, ma soprattutto conoscerlo, il tuo respiro, fartelo amico perché solo di lui potrai fidarti, là sotto. Grab your deep breathing, it’s the only thing that happens in your day, dicono i Big Business in un grandioso disco di un paio d’anni fa, Command your weather: e delle volte ti verrebbe da dire che sarebbe così bello se anche al cinema l’unica cosa che accadesse fosse il respiro. Lo sanno bene le giornate vissute dai personaggi di Le grand bain, di cui Lellouche con sorprendente equilibrio intreccia il racconto, giornate di comune desolazione in esistenze andate storte, di solitudini e piccoli grandi disastri affettivi e familiari.
Ah, quanto non vedono l’ora di poter abbracciare questi personaggi, i campioni del grande schermo francese approntati da Lellouche per questa squadra, quanto sono felici di poter vestire con naturalezza irresistibile le sfighe e la malinconica goffezza di queste figure: eccoli lì Mathieu Amalric, Guillaume Canet, Jean-Hugues Anglade, Benoit Poelvoorde, Philippe Katerine tra uno sketch più fisico e una gag malinconica, uno sguardo strappalacrime e un’invenzione grottesca subito a rispondere.

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E’ chiaro, così escogitato il film è destinato a far verosimilmente impazzire i botteghini in patria, ma Lellouche davvero gestisce con il respiro giusto l’incredibile anima fragile e umana che innerva questa struttura da commedia proletaria inglese, con questo team di nuotatori della domenica che finisce a gareggiare ai mondiali di nuoto sincronizzato maschile, una formula già pronta per l’esportazione con i facili remake nelle varie nazionalità possibili (facile immaginare una versione italiana con Leo, Fresi, Giallini, Mastandrea ecc).
Non è solo per via di una cura nel tratteggio anche della portentosa compagine femminile, dalle due fenomenali allenatrici della squadra Virginie Efira e Leïla Bekhti fino alle varie figlie, moglie e compagne dei protagonisti, ma anche o prima di tutto per una capacità di giocare con l’elemento acquatico che rimanda davvero agli istanti migliori di L’effect aquatique di Sólveig Anspach, in cui la connessione tra i corpi attraverso il movimento liquido si trasforma in una sorta di fluido trasparente che lega le persone tra di loro, in grado di sciogliere gli attriti privati, i contrasti sociali, le delusioni e tutti i dolori personali in una specie di rigenerazione dall’acqua (metafora chiarissima dello script).
Una delle poche attività sportive che si svolgono in assoluta, perfetta solitudine e allo stesso tempo in profonda connessione con i corpi e gli esseri umani che stanno eseguendo la tua stessa traiettoria in vasca in quell’istante, come per evanescente telepatia trasmessa dall’acqua.

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