#Cannes2018 – Pope Francis – A man of his Word, di Wim Wenders

Per quanto filo-vaticana e promozionale, l’operazione di quest’ultimo Wenders riproduce le ossessioni ecumeniche e apocalittiche di gran parte della sua filmografia. Fuori concorso.

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C’è un legame diretto tra questo documentario dedicato a Papa Francesco e Il sale della terra, il film che Wenders ha dedicato quattro anni fa alla vita e alle opere di Juliano Ribeiro Salgado. Alla fine di quest’ultimo infatti il regista tedesco raccontava il progetto di riforestazione della Mata Atlantica compiuto dal fotografo brasiliano e dalla sua famiglia. Una nuova genesi del mondo e dell’etica dell’uomo che partiva proprio dal dolore e dalla umanitas delle opere di Salgado per plasmarsi in una reale creazione di vita, che lo stesso fotografo arrivava a definire  la sua “più grande opera d’arte”.

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Pope Francis riparte proprio da questo messaggio ecologico e spirituale allo stesso tempo. In effetti il papa nei primi piani insistiti delle interviste, densi di quella fisionomia piccola e mistica tipica dei sudamericani, ricorda davvero Salgado – sudamericano anche lui. E la sua enciclica dedicata all’ambiente, denominata Laudato si’, che il documentario di Wenders cita inevitabilmente, rimanda senza mezzi termini al prendersi cura della Terra. Come fa Salgado appunto. In entrambi in casi questa presa di coscienza porta all’umiltà del lavoro e a una sorta di depauperizzazione estetica che conduce all’arricchimento etico. Per Wenders – ma potremmo dire la stessa cosa per papa Francesco in riferimento alla Chiesa – lo scopo dell’arte è sempre quello di arrivare all’uomo. E questo punto di vista è espressamente raccontato già dal titolo, che identifica appunto il personaggio come uomo di Parola.

Ecco, nonostante la sua natura innegabilmente filo-vaticana e promozionale, l’operazione di quest’ultimo Wenders riproduce le ossessioni ecumeniche e apocalittiche di gran parte della sua filmografia. Se ne Il sale della terra il filo conduttore di questa riflessione erano le opere fotografiche di Salgado, qui la priorità viene data ai testi e ai discorsi del papa. Le parole fagocitano un linguaggio per immagini che è assolutamente convenzionale, al servizio del protagonista e del suo Verbo. Forse in questo momento per Wenders le parole sono più importanti delle immagini. Anche se è il film stesso a chiedersi a un certo punto, davanti ai comizi di papa Francesco, se le parole possono ancora avere un peso nel mondo di oggi. Un dubbio che a ben vedere problematizza non poco la natura dell’operazione e della comunicazione stessa del pontefice.  Per il resto il cinema, almeno qui, non può che entrare di traverso, nei brevi flashback su Francesco D’Assisi (Ignazio Oliva), girati in bianco e nero e senza sonoro. San Francesco è il cinema muto. La lezione che l’uomo (e lo spettatore?) deve ancora imparare. Ma c’è ancora tempo per farlo senza dover per forza arrivare fino alla fine del mondo?

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