#Cannes2018 – Wildlife, di Paul Dano

L’opera prima di Paul Dano è un racconto di formazione trattenuto e riflessivo, mai presuntuoso di fronte alla storia e ai personaggi. Semaine de la critique.

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Si diventa uomini sempre al termine di una elaborazione, forse anche di una creazione artistica, morale, sentimentale. Più che un percorso materialmente fisico, il “crescere” ha a che fare con la (ri)composizione delle fratture, con la loro interiorizzazione a partire da un’immagine definita. Per questo nell’ultima scena di questa opera prima firmata dall’attore Paul Dano l’adolescente Joe ha bisogno di una fotografia che sappia fermare il tempo e certificare esteticamente la crisi della Famiglia e la necessità di usarla/superarla. È un piccolo grande finale che libera un film asciutto, onesto, per certi versi sorprendente.

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Da sempre attivo nel cinema indipendente Dano si ritaglia non solo il ruolo di regista, ma anche quello di sceneggiatore insieme a Zoe Kazan. Alla base del loro lavoro c’è il romanzo di Richard Ford Wildlife (Incendi), pubblicato nel 1990, ma ambientato nell’estate del 1960 in una cittadina del Montana. Qui il quattordicenne Joe Brinson assiste alla crisi matrimoniale dei genitori. Il padre Jerry ha perso il lavoro presso il Golf Club. Trascorre le giornate a casa bevendo birra e per ritrovare nuovo impulso alla vita decide di lasciare la famiglia e trascorrere l’estate a spegnere incendi. La madre Jeannette reagisce riscoprendo la sua femminilità e tradendolo con un vecchio uomo d’affari. Joe osserva. Interiorizza. Soffre. Reagisce. E il film di Dano cerca di fare altrettanto. Non giudica, né moralizza. Racconta le sofferenze della maturazione, portando a casa un coming of age emotivamente trattenuto, ma genuinamente riflessivo e mai presuntuoso di fronte alla storia e ai personaggi. Lo stile minimalista ritrae un’immagine essenziale del Nord America tra gli anni 50 e 60 e per fortuna la ricostruzione storica non diventa una “gabbia”. Il Dano regista cerca di prendere qualcosa (ma non troppo) da Todd Haynes e Truffaut, con tanto di corsa notturna a citare quella conclusiva de I quattrocento colpi. Sono riferimenti che rendono merito solo parzialmente a un film che cerca soprattutto di trovare un proprio equilibrio tra paesaggio, spazio e intimità. A scapito dei furiosi incendi che divampano nei luoghi e nei cuori dei protagonisti, Wildlife procede lentamente. Si prende il suo tempo per lasciare tracce che non sono facili da riconoscere. Qui il cuore bisogna andarselo a prendere. Ma farlo non costa niente.

 

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