#Cannes2019 – Family Romance, LLC, di Werner Herzog

Piccolo film su commissione girato con un piccolo dispositivo portatile, certo… eppure in ogni singola inquadratura si percepisce la tensione etica dello sguardo di Werner Herzog.

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Piccolo aneddoto preliminare: “ho provato molto piacere a girare questo film” dice sorridendo Werner Herzog agli spettatori che lo applaudono dopo la prima cannense del suo nuovo film “di finzione”. L’applauso termina, lui ringrazia e si incammina verso il corridoio per uscire insieme agli altri, poi però nota un ragazzo giapponese e si ferma incuriosito: “lei è il primo giapponese che vede il mio film, le è piaciuto? Le pare abbia senso?”. Potremmo anche finire qui questa recensione, col racconto di come uno dei più grandi cineasti della storia del cinema manifesti ancora un istintivo interesse per ogni singola persona che lo circonda e per ogni singolo “punto di vista” sul mondo che possa arricchire il suo instancabile filmare. Ma di che film stiamo parlando? Family Romance, LLC è ambientato nella Tokyo dei giorni nostri, dove un attore-imprenditore di nome Yuichi Ishii ha una piccola società di servizi che si occupa di fornire “supplenze umane”. Che si tratti di un genitore in affitto per una bambina senza padre o più semplicemente di una sostituzione di pochi minuti durante un fastidioso rimprovero del proprio capo, ecco che Ishii interviene mutando personalità (un po’ come il Mr. Oscar di Holy Motors, ma con molta meno foga iconoclasta) e creando costanti cortocircuiti tra realtà e finzione. Del resto non è sempre stata questa la Fata Morgana che ha spinto Herzog a girare il mondo con la sua cinepresa? Ossia cercare ogni confine fisico e immaginario del (e nel) cinema?

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E allora: piccolo film su commissione, certo, girato con un piccolo dispositivo portatile, certo… eppure in ogni singola inquadratura si percepisce la tensione etica dello sguardo di Werner Herzog alla costante ricerca di immagini veritative che inabissino ogni simulacro seriale della nostra epoca. Il film inizia nel caotico Ueno Park di Tokyo dove Ishii aspetta Mahoki per divertarne il padre surrogato, assumendone la soggettività e tentando di instaurare un rapporto emotivo “reale” con la piccola. Herzog filma i due (non) attori come fossero Brad Dourif ne L’ignoto spazio profondo o Graham Dorrington ne Il diamante bianco, ossia come testimoni di una verità da cercare con incrollabile fiducia negli scarti tra vita e messa-in-scena. Quindi tra immagini consumate dal flusso anestetico dei nuovi media e immagini pure da cercare sino alla fine del mondo (come teorizzava proprio a Tokyo in quel magnifico breve scambio di battute con Wim Wenders in Tokyo-ga). E allora se il paradigma contemporaneo delle immagini povere coincide con ogni piccolo device a portata delle nostre tasche, Herzog non può che assorbirne gli stilemi superficiali ri-estetizzandoli però secondo la sua personale visione delle cose. Il parco di cilielgi in fiore diventa allora il teatro di antichi e coreografati rituali tra Katane e nel contempo del contingente disgelamento emotivo di Mahoki che trova una complicità paterna in Ishii. Herzog, pazientemente, documenta questa finzione alla ricerca di intime verità umane.

C’è un momento rivelatore, poi. Ishii è in un albergo dove ogni forza lavoro è fornita da umanoidi artificiali che accolgono i clienti e ne ricevono le richieste. Lo sguardo di Herzog è subito incuriosito da quell’ambiente robotizzato cogliendone il fascino delle superfici e nel contempo il  perturbante risvolto umano, soffermandosi infine su un acquario di pesci-animatronics che nuotano nel vuoto della vita. Ed proprio quel vuoto ad essere colmato da Ishii con una frase intimamente herzoghiana: “chissa se questi robot possono sognare”.

Di nuovo: di che cosa stiamo parlando? Film su commissione o film di finzione, documentario o found footage, cortometraggio o mediometraggio, star di primo livello o ultimo uomo su un isola deserta… e via verso ogni altro confine conosciuto dal cinema. Non importa. Perché ogni fenomeno che incontra le immagini di Werner Herzog viene subito assorbito dalla sua riconoscibilissima mediazione estetica eppure rimane aperto a infiniti livelli di verità che percepiamo sempre come nostre. Proprio come nel sublime finale di questo film che riecheggia Cave of Forgotten Dreams e le mani del primo artista umano impresse trentaduemila anni fa. Mani ora associate alle origini identitarie di Ishii e ai suoi affetti più intimi, oltre ogni messa in scena e oltre quella porta di casa che eticamente non attraverseremo. Oltretutto c’è la vita… “ho provato molto piacere a girare questo film“.

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