#Cannes68 – Journey to the Shore, di Kiyoshi Kurosawa

In “Un certain regard”, il nuovo film di Kurosawa sembra essere il compimento di un percorso. La splendida preghiera di uno sguardo ormai lontano dall’angoscia, più libero, più dolce, più sereno

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------

L’horror non c’è più. Probabilmente non ne è rimasto che l’involucro, la pelle più esteriore del genere. Ma la muta del serpente è avvenuta. In silenzio, come sempre accade. Ed è questo, forse, a lasciare interdetti gli estimatori della prima ora. Lentamente, sotto i nostri occhi, il cinema di Kiyoshi Kurosawa sta cambiando forma e, quindi, necessariamente, sostanza. Nonostante tutti i legami interni, tutte le ossessioni riconoscibili. In qualche punto più o meno preciso della sua vita e della sua carriera, è forse accaduto qualcosa che ne ha modificato l’approccio e la prospettiva. E si tratta di un percorso già chiaro a partire dagli ultimi film fuori tracciato, i liberamente folli Seventh Code e Beautiful New Bay Area Project. Qui, con Journey to the Shore arriviamo al compimento. Nonostante, in apparenza, ci muoviamo in territori più canonici, più in linea con la concezione poetica di Kurosawa.
I segni, i personaggi e i temi del suo cinema ci sono tutti. C’è il fantasma, quello di Yusuke, morto suicida ormai da tre anni, che riappare alla moglie Mizuki, ancora non del tutto consapevole della verità dei fatti. E c’è sempre un mondo inquieto, in cui le cose sono in costante dissoluzione (o dissolvenza?), in cui la precarietà di ogni apparizione è una verità invincibile, un principio di dolore e di smarrimento. È il confine, il luogo preferito di Kurosawa, quella specie di purgatorio dove le porte tra le diverse dimensioni son tutte aperte, i morti si confondono con i vivi, sono altrettanto reali, per quanto questa parola abbia ancora un senso. Dove il vuoto si sostituisce al pieno e l’illusione schiude gli occhi al nulla, alla sua verità. Yusuke, anima errante e corpo “rinnovato” accompagna Mizuki in un viaggio di scoperta, lungo le strade di questo mondo nebbioso che ha nella malattia e nella corruzione la sua essenza. Un viaggio fatto di stazioni, di tappe, frammenti narrativi che costituiscono quasi una raccolta di racconti. E a ogni stazione, Yusuke insegna alla moglie a riconoscere ciò che si cela tra le apparenze, ciò che sfugge, ciò che si trasforma e ciò che resta. Ma, prima di tutto, insegna a se stesso ad accettare pienamente l’ineluttabilità della morte, la necessità del distacco.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

 

journey to the shore

L’orizzonte può sembrare cupo, ma Kurosawa è ormai lontano dall’angoscia, da quella paura che “pulsava” nelle immagini del suo cinema. Il suo sguardo appare più dolce, libero, arioso. Sereno, verrebbe da dire, sempre ammesso che con questa parola non s’intenda un’assenza di complessità. È come se, finalmente, tutte le sue figure, ispirate a una tradizione shinto eppur virate di segno dalle sue ossessioni e dai suoi incubi, si fossero finalmente accordate a una prospettiva spirituale più alta e consapevole. Il mondo non smette certo di andare in “crisi”, ma non c’è più lo spettro dell’apocalisse. L’impermanenza è la premessa della trasformazione, del movimento incessante della vita. E lo zero non è più un semplice zero, ha in sé un residuo e un principio, è “un qualcosa” su cui si costruisce l’universo.
Per questo il sovrannaturale, l’elemento fantastico non è più qualcosa che perturba il reale, che modifica la visione, la stravolge. È qualcosa che s’inserisce a pieno titolo nella realtà, ne fa parte, è perfettamente integrato. Rientra nella normalità del linguaggio cinematografico. Un’apparizione non è che un’entrata in campo, una sparizione si risolve con uno stacco di montaggio. Ogni trasformazione è un semplice cambio di illuminazione, una variazione di tono. Tutto è “naturale”. E a partire da questa consapevolezza, Kurosawa, pur rimanendo legato a una modernità e una funzionalità occidentale, raggiunge una sensibilità che lo riporta all’essenza stessa del cinema giapponese, di tutta una tradizione figurativa. Il suo cinema diventa un ponte perfetto tra mondi lontani, tra i tempi della tragedia e quelli della contemplazione, tra il dolore la bellezza, la tensione e la pace.

--------------------------------------------------------------
CORSO COLOR CORRECTION con DA VINCI, DAL 5 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative