#Cannes68 – Youth, di Paolo Sorrentino

In concorso l’ultimo Sorrentino è un film schiacciato da belle immagini senza un’anima, senza un dettaglio, uno squilibrio che possa creare un contatto tra l’inquadratura e il fuori

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Si intitola giovinezza ma si sarebbe potuto chiamare morte. O anche i morti. The Dead. Ma poi qualche distratto spettatore avrebbe magari corso il rischio di confondere questa parabola sulla vecchiaia con l’ultimo, bellissimo film che John Huston diresse prima di morire. Sorrentino infatti dopo il trionfo internazionale de La grande bellezza, vola ancora piú alto riflettendo sul crepuscolo degli anni, sullo sfiorire del corpo e della memoria, su quello che lasciamo agli altri nell’arte e nella vita. E lo fa come se si sentisse giá, a soli 45 anni e 7 film, un cineasta a fine carriera. Ci troviamo in Svizzera presso una lussuosa casa di riposo per miliardari e star dello spettacolo. Tra essi c’è il compositore Fred Ballinger, che si è ritirato dalle scene e che ha appena ricevuto un’offerta prestigiosa: fare un ultimo concerto in onore della Regina d’Inghilterra della sua opera piú famosa. L’uomo inizialmente non sembra interessato all’offerta e trascorre le sue giornate insieme alla figlia Leda, a un giovane attore americano (il vero alter ego di Sorrentino?) che osserva in silenzio la fauna umana che lo circonda per comporre il suo prossimo personaggio e soprattutto con il suo amico Mick, un regista che sta scrivendo la sceneggiatura di un film che potrebbe essere il suo testamento artistico.

michael caine e harvey keitel in youthCi risiamo. Il cinema di Sorrentino continua a farci rabbia e a non darci pace. Il suo talento tecnico prosegue a essere direttamente proporzionale alla sua arroganza e a una preoccupante mancanza di amore, di respiro, di spazio. Youth è un film schiacciato da belle immagini senza un’anima, senza un dettaglio, uno squilibrio che possa creare un contatto tra l’inquadratura e il fuori.  Ha un bel da fare il regista italiano nel muovere i carrelli, usare rallenti, zoom o composizioni statiche: tutto finisce con il girare a vuoto. Da questo punto di vista l’operazione è forse persino dichiarata nel suo ingolfamento progressivo dentro questo albergo in cui non succede praticamente nulla. Tra sedute di massaggio, concerti, cene, passeggiate in mezzo alla natura, Sorrentino perde consapevolmente tempo pensando che l’atmosfera e la forma riescano da sole a creare l’anima. Purtroppo non è cosí. In Youth nulla diventa materia, sostanza e la stessa riflessione sul cinema compiuta dal personaggio interpretato da Harvey Keitel appare didascalica, teoricamente e sentimentalmente povera.

Nonostante le ambizioni esistenziali del progetto – con una innumerevole serie di aforismi che denunciano soprattutto l’inclinazione letteraria del Sorrentino sceneggiatore (“Le emozioni sono sopravvalutate”/”Nella mia vita ho fatto di tutto per non diventare un’intellettuale”/”Uomini, artisti, animali, piante: siamo tutti comparse della vita”) – Youth è alla fine un film “piccolo”, che gira su se stesso come l’assurda pedana circolare in cui si esibiscono i cantanti nel giardino dell’albergo, su cui si apre la prima delle tante sequenze musicali. Alla fine volendo provare a cercare una via d’uscita in questo museo delle cere scopriamo un paradosso che potrebbe forse aprire possibili nuove traiettorie al cinema di Sorrentino. E’ un dato di fatto che per un regista totalmente incentrato sulla ipertrofia dello stile i momenti migliori arrivino in Youth nella semplicitá del campo-controcampo o in un paio di monologhi riusciti (molto bello quello della figlia sulla madre, ma anche qualche divertente botta e risposta tra Keitel e Caine). Se il mondo costruito da Sorrentino riuscisse a prendersi delle pause da questo sfiancante assolo senza punteggiatura in costante ricerca dell’applauso finale non sarebbe un male, ma probabilmente il sorrentinismo è un pacchetto unico da prendere cosí. Noi preferiamo lasciarlo lí dov’é.

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    11 commenti

    • Ma quando si leggono tweet di gente che si è emozionata alla visione del film, è ancora legititmo dire che non c’è traccia di amore? Siamo sicuri che certi critici non siano più arroganti del regista stesso? Quando uno fischia per partito preso come il borioso dei Cahiers siamo davvero certi che la ragione sia dalla sua parte? A volte bisognerebbe coltivare l’arte del dubbio invece di sbrodolare certezze un tanto al chilo – e non mi riferisco solo a Valeri e solo a questo film

    • “Ci risiamo. Il cinema di Sorrentino continua a farci rabbia e a non darci pace.”
      E chissenefrega.

    • Ma infatti. Mi sembra di leggere un editoriale di travaglio o di belpietro, sia già cosa ci sarà scritto (scommettiamo che jia zhang-ke verrà descritto come un capolavoro?). Migliaia di battute sprecate per dirci 0 del film, a parte che a SS Sorrentino non piace. Per la serie: Estiqaatsi. Ma ribadisco, è un problema che va oltre questo specifico film/autore, è proprio un limite di (quasi) tutti i critici in sé, che idolatrano il proprio Io a dismisura. Ne rimangono ben pochi di sitmolanti…

    • A me non sorprende la critica e i voti dati con lo stampino dalla redazione, è più che altro una curiosità. Ovvero constatare come si parli di “sorrentinismo”, a ragione, eppure così valeva un tempo per Pirandello quando si parlava di “pirandellismo” e non certo per fargli un complimento. Parlando di “un pacchetto” da prendere per quel che è o buttare state facendo a Sorrentino un enorme complimento, e lo scambiate per disprezzo.

    • Naturalmente il mio è un elogio all’autore Sorrentino, e alla sua voce che spacca tutti. Gli avete dato la nomea di classico già adesso, ne siete consapevoli? Per il resto, sono molto curioso di vedere se si prenderà qualche premio visto che da quel poco che mi pare di capire, nonostante la controversia, proprio per questo resta tra i nomi più importanti per il toto-palma.

    • Mi piace Sentieri selvaggi perché ha dei lettori così critici, almeno a giudicare dai commenti, hihihihihihi….. Vedrò il film di Sorrentino senza pregiudizi, eppure ogni volta mi sorprendo che chi vi commenta lo fa sempre e solo per criticarvi, quasi mai per parlare dei film. Che vi costa usare quella parte del cervello che ancora è in grado di esprimere una qualsivoglia analisi? Mi piacerebbe leggerle, anche solo per confrontare. Invece Valeri argomenta, i commentatori sparano.

      • Se si pubblicano solo sbrodolate illeggibili e banalità un tanto al chilo (“mancanza di amore, di respiro, di spazio” e roba del genere) e da hooligan, commenti del genere sono quello che si meritano. In questa recensione non c’è uno straccio di analisi, nessuna argomentazione, niente di niente, soltanto banalità preconcette diluite in cinquanta righe e già lette in ogni recensione di un film di Sorrentino. E nelle altre recensioni non va meglio. Non è che uno deve fare il critico per forza.

    • Perdonami Edo ma le “sbrodolate illeggibili” non è un’analisi, nè del film (che ne pensi, quale sarebbe la tua analisi o opinione?) nè dell’articolo, che invece a me pare molto ben scritto e argomentato (poi la si può pensare diversamente). Sono proprio questi commenti che mi lasciano basita, Perchè sembrano fatti con invidia è pura acredine, senza alcuna voglia di discutere e ragionare. E invece questo dovrebbe essere il senso dei commenti, non credi?

      • La recensione è invece leggibile eccome, è un rifiuto in toto del cinema di Sorrentino, non del film in sé. I voti della redazione in blocco dicono che Youth è praticamente il più brutto visto al festival. Ma è inevitabile anche un confronto con la critica internazionale che invece (guarda Variety, Hollywood reporter, The Indipendent) ha elogiato il film per gli stessi motivi per cui qui lo si stronca e lo da come il migliore! è una situazione folle, proprio per questo interessante.

      • Vuoi un’analisi in 500 battute? Dai, non prendermi in giro. Ma se per te questo articolo è una critica ben fatta, non so che dirti, goditi questa critica da lanzichenecchi.

    • Come si può definire piccolo un film del genere?
      La forma e la sostanza vanno di pari passo. Youth non sarebbe nulla senza la potenza delle immagini, come i film di Lars von Trier. Del resto solo un’ anacronistica visione continua ancora a distinguere tra forma e sostanza; questa dicotomia è ormai superata in scienza, letteratura e arte…
      Vogliamo lasciare il “sorrentinismo” lì dov’è? Allora tenetevi Brizzi e Martani… e pure Moccia!