Captain Marvel, di Anna Boden e Ryan Fleck

Captain Marvel non è solo l’apripista dell’attesissimo Endgame. È il film in cui il MCU presenta la sua prima onnipotente eroina femminile, saltando con disinvoltura la questione di genere.

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Tutto l’universo narrativo della Marvel è rimasto in sospeso dopo lo scioccante finale di Infinity War. Tuttavia, la sua continuity non si è interrotta nemmeno in dichiarato intermezzo come AntMan and the Wasp. I film usciti in questo prolungato cliffhanger sono inevitabilmente degli apripista dell’attesissimo Endgame. Eppure, sarebbe riduttivo considerare Captain Marvel solo un’anticamera della resa dei conti tra Thanos e i superstiti della sua ecatombe. Kevin Feige non ha mai smesso di ricordare che la nuova arrivata non solo è la prima eroina del MCU ma anche il più potente dei suoi personaggi. La chiamata disperata di Nick Fury prima della sua dissolvenza suggeriva il suo valore strategico di arma risolutiva. La produzione ha deciso di ripetere l’operazione di Black Panther e di entrare nuovamente nel dibattito politico e culturale americano.

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La sceneggiatura di Anna Boden e di Ryan Fleck ha dovuto sintetizzare le differenti versioni della protagonista che si sono succedute nel corso degli anni. Le tante stratificazioni editoriali hanno complicato il loro compito ma le modifiche non lasciano dubbi sulle loro intenzioni. Il film racconta le sue origini in forma di flashback e le indirizza verso una storia completamente al femminile. Captain Marvel sana l’assenza di una primadonna nel MCU ma evita di replicare l’operazione di successo che la DC aveva compiuto con Wonder Woman. L’amazzone arrivava nel mondo dei mortali e scopriva la sua natura femminile anche attraverso una relazione sentimentale. È un destino a cui non riesce a sfuggire nemmeno Black Widow, che annovera tra le sue molte risorse anche quella della seduzione.

Il film salta con disinvoltura questa impasse e tratta la parità di genere come un dato acquisito. L’eroina ha un potere cosmico talmente smisurato da sembrare praticamente asessuata. La sua controparte umana ha un’amica e insieme hanno cresciuto una bambina senza il padre e nel mito di Amelia Earhart. L’uomo che dovrebbe arginarla ha dovuto metterle un inibitore per impedirle di sprigionare tutta la sua forza. Lo sequenza dello scontro finale inizia sulle note di Just a Girl dei No Doubt e lei non deve provare di essere alla pari degli altri. Come lei stessa afferma alla fine, non ha più bisogno di dimostrare niente a nessuno. In questo senso, Captain Marvel aderisce all’esigenza di presentare un’idea completamente nuova della donna supereroe.

L’eroina di Brie Larson inizia il suo addestramento nella civiltà dei Kree sotto la guida di un maschio della sua specie. Tuttavia, la sua guida spirituale è una donna che affiora dai pochi ricordi di una precedente vita umana. Il problema del condizionamento sulla presa di coscienza delle donne è un tema centrale di Captain Marvel. Il film riesce a nasconderlo dietro la questione più generica e confortevole della consapevolezza del potere ma lascia comunque delle tracce evidenti lungo la strada. La sua memoria dell’infanzia sulla Terra è fatta di momenti in cui la sua condizione di genere viene continuamente segnata dalla debolezza. Il padre e i commilitoni la deridono perché non può farcela in un ambito esclusivamente maschile. Il potere che gli è stato dato dal Tesseract è praticamente illimitato ma chiunque le stia intorno cerca di controllarlo o di strumentalizzarlo.

La scelta di aver affidato la regia a due autori dichiaratamente indie come Anna Boden e Ryan Fleck rientra in una serie di slanci di audacia del MCU. Il tentativo di dare una personalità definita ai progetti standalone aveva consegnato Ragnarok a Taika Waititi e Black Panther a Ryan Coogler. Il credito ormai illimitato del suo franchise gli permette di sperimentare per rinnovare la sua componente visiva e tematica. Kevin Feige ha

giustificato la decisione di assumere la coppia con la loro propensione a trattare delle storie di formazione. Brie Larson è una Kree che scopre di essere umana ed è un soldato facilmente manipolabile che scopre di essere un’entità onnipotente. Il problema di questa sua versatile maturazione è la sua difficoltà a mischiarsi nel ritmo di un blockbuster.

Captain Marvel funziona nelle sue parti singole ma fa più fatica a legarle nel suo insieme e offre diversi film paralleli. Il risultato ha meno forza epica di Black Panther e meno originalità di Ragnarok ma non risparmia delle formidabili intuizioni. Prima di tutto, bisogna notare come ormai ricorra spesso un astuto utilizzo nostalgico dell’ambientazione nel passato. L’azione si svolge negli anni novanta e la Kree in missione sul nostro pianeta atterra sul tetto di un Blockbuster. Inoltre, il pubblico adulto dovrà spiegare agli adolescenti di oggi perché all’epoca un computer ci metteva così tanto ad aprire un file audio. Il ruolo di spalla del giovane Nick Fury funziona perfettamente e i due personaggi offrono dei siparietti degni di un buddymovie. La donna diventa talmente potente da abbandonare i problemi terreni ma Samuel L. Jackson è ugualmente efficace quando deve duettare con un docilissimo gatto.

Forse, il film manca di un villain veramente all’altezza della situazione e Jude Law sembra un pesce fuor d’acqua. Il suo sbigottimento si palesa non tanto davanti alla fine del patriarcato ma nei confronti del format del marvelmovie. Il suo cattivo non ha un grande spessore anche se l’eroina è arrivata per tenere testa a Thanos in persona e sminuirebbe chiunque. La possibilità di scoprire i motivi per cui Nick Fury ha perso l’occhio potrebbe essere non abbastanza allettante. Il modo in cui il MCU ha deciso di omaggiare Stan Lee nel primo film dopo la sua morte nella vita reale potrebbe un teaser sufficiente.

 

Titolo originale: id.

Regia: Anna Boden e Ryan Fleck

Interpreti: Brie Larson, Samuel L. Jackson, Jude Law, Annette Bening, Lashana Lynch, Ben Mendelshon

Distribuzione: Walt Disney

Origine: USA, 2019

Durata: 124’

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