"Carlo Vanzina, il carnevale infinito del cinema"

Quello di Vanzina è un cinema intriso dal desiderio di una filialità (alla commedia dell'arte?) rifratta, persa nell'(in)utilità di uno sguardo ludico, rovesciato nella suadente promessa di un infinito carnevale, che porta con sé l'illusoria "mascherata" di una "reverie" (en)fatica, popolare e universale perché estesa a tutti i partecipanti.

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Secondo noi il cinema comico italiano ha fotografato la realtà in maniera formidabile. Essendo figli di un regista impegnato in prima linea proprio negli anni d'oro della commedia all'italiana, possediamo una involontaria memoria storica che ci permette di ricordare in maniera privilegiata. Abbiamo frequentato Dino Risi, Totò, Alberto Sordi, gli sceneggiatori di Germi, di Monicelli, di Ettore Scola. Siamo stati Amici con Tognazzi, e con le attrici di allora. Per noi riportare a galla quei ricordi è non solo un piacere ma addirittura un obbligo". (Carlo ed Enrico Vanzina)

Gruppo di famiglia in un interno (cinematografico). Non si può scrivere di Carlo Vanzina senza ricordare suo padre Steno, per l'anagrafe Stefano Vanzina, nato a Roma nel gennaio del 1915 e morto nel marzo del 1988. Laureatosi in giurisprudenza, giovanissimo entrò nella redazione di Marc'Aurelio, giornale satirico dell'epoca, cui collaboravano anche Federico Fellini, Ettore Scola e Marcello Marchesi. Steno è stato uno dei talenti più prolifici del nostro cinema: 73 regie, oltre 100 sceneggiature, 48 anni di carriera. Ha attraversato la storia del cinema italiano, sperimentando ogni genere e incrociando tutti i protagonisti della comicità all'italiana. Tra il 1949 e il 1953 diresse i suoi primi film, tra cui Totò cerca casa, Guardie e ladri, Totò a colori, con l'amico Mario Monicelli, poi ciascuno prese la sua strada. Nel 1953 firmò da solo Un giorno in pretura e Un americano a Roma, nei quali appare il mitico e bullesco personaggio di Nando Moriconi interpretato da un grande Alberto Sordi (ricordate la scena degli spaghetti? "Maccarone, m'hai provocato e io ti distruggo, adesso: io me te magno"). Altre saranno le maschere indimenticabili del suo cinema, grazie alla collaborazione con attori come Rascel, Chiari, Tognazzi, Vianello, ma anche Montesano, Villaggio e Pozzetto interpreti di film, con cui Steno è stato capace di trasmetterci, pur in uno specchio deformante, la verità della piccola Italia dagli anni '40 in poi. I due figli, Enrico e Carlo, hanno entrambi coltivato la passione paterna. Enrico, nato nel 1949, dopo essersi laureato in Scienze politiche e Sociologia, ha intrapreso la carriera di sceneggiatore scrivendo film per Dino Risi, Marco Risi, Alberto Lattuada, Mario Monicelli, Nanni Loy, oltre a quelli diretti da suo fratello. Carlo, nato nel 1951, ha vissuto il cinema fin dall'infanzia, nel 1952 è stato il piccolo Filippo in Totò e le donne diretto dal padre; dopo il diploma alla scuola francese Chateaubriand di Roma ha iniziato come aiuto regista di Mario Monicelli nei film Brancaleone alle crociate (1970) e La mortadella (1971), in seguito con il padre in Anastasio mio fratello (1973) e con Alberto Sordi in Polvere di stelle (1973). L'esordio dietro la macchina da presa è avvenuto nel 1976 con Luna di miele in tre interpretato da Renato Pozzetto.

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In tutto ciò che è capace di eccitare un vivace scoppio di riso, deve esserci qualcosa di assurdo. Il riso è un'affezione che deriva da un'aspettazione tesa, la quale d'un tratto si risolve in nulla. Proprio questa risoluzione, che certo non ha niente di rallegrante per l'intelletto, indirettamente rallegra per un istante con molta vivacità". (Emmanuel Kant)

Da Jerry Calà a Diego Abatantuono: il corpo (comico) come situazione, carattere, parola. La prima interessante collaborazione di Carlo Vanzina è con i Gatti di Vicolo Miracoli (Gerry Calà, Umberto Smaila, Nini Salerno e Franco Oppini), che il regista dirige nel 1979 in Arrivano i Gatti e l'anno successivo in Una vacanza bestiale. Due film in cui la forma della commedia, intesa come realtà simulata degli eventi umani, appare tanto più vera della realtà quanto più il falso della scena esaspera i caratteri e le situazioni reali (basterebbe ricordare la sequenza al campo dei nudisti o la passeggiata dei quattro, che attraversano nudi la città). Ma il primo vero successo della sua carriera arriva con I Fichissimi (1981), nel film Jerry Calà è Romeo, un posteggiatore milanese, che si innamora di Giulietta, sorella di Felice (Diego Abatantuono), immigrato pugliese e suo acerrimo nemico. Il film impone la presenza fisica e il buffo terronese di Abatantuono: robusto, baffoni, capelli ricci scompigliati e una lingua nuova, un impasto di cadenza milanese, dialetto pugliese, deformazioni lessicali e invenzioni di gergo. Nei due film successivi Eccezzziunale… veramente e Viuuulentemente mia, entrambi del 1982, la mimica e la lingua di Felice sono portate all'estremo. Non va dimenticato che Carlo Vanzina nel 1971 era stato aiuto regista di Monicelli nel film Brancaleone alle crociate, séguito de L'armata Brancaleone del 1966 (per i due film gli sceneggiatori Age e Scarpelli avevano inventato un irresistibile linguaggio maccheronico, ricco di latinismi tardomedievali e di italiano arcaico, vicino alle parodie linguistiche del Pulci e di Teofilo Folengo). Se il secondo film si presenta come una vivace sequenza di giochi comici, in cui il personaggio di Abatantuono libera il piacere del gioco scenico, il primo film è dominato da un continuo capovolgimento di prospettiva, dall'attenzione per una realtà irregolare e per la fisicità del comico. In esso il corpo dell'attore si frantuma nella sua uni(vo)cità, interpretando Donato, un tifoso milanista a capo delle Brigate rossonere; Franco, un'interista continuamente gabbato dagli amici e, infine, Tirzan, un camionista juventino, che per inseguire la sua squadra in trasferta a Parigi si fa rubare il camion che aveva scambiato con un collega. Il personaggio interpretato da Abatantuono dà spessore alla figura comica del clown, inteso come villano arguto e il cinema di Carlo Vanzina diventa un tendone di circo(i)larità comica sotto il quale non si è/vuole essere artisti perplessi, ma si gioca a fare i pagliacci. L'anno successivo è la volta di Sapore di mare, ritratto di gioventù al mare nell'anno 1964. Nel 1983 eravamo troppo piccoli, nel 1964 non eravamo ancora nati, non abbiamo vissuto il boom economico, le idealità degli anni settanta, abbiamo vissuto solo in limine il riflusso e la fuga dall'impegno degli anni ottanta e siamo cresciuti nella (dis)illusione degli ideali manca(n)ti e soggettivati degli anni novanta. Oggi quel film sembra non appartenerci. Eppure, in esso sembra esserci il carnevale dell'esistenza, così come lo aveva raccontato Federico Fellini ne I vitelloni, con Alberto Sordi che, vestito da donna, trascina la testa del vecchio carnevale all'alba, alla fine della festa. Anche nel finale del film di Vanzina la girandola goliardica sembra doversi interrompere, cedere il posto all'amara consapevolezza del passare del tempo. E invece? Qui, non sono i padri, biologici o putativi, ad essere irraggiungibili, ma i figli a non volerli raggiungere.

"Ora, la fantasia comica è veramente una energia vivente che ha germogliato rigorosamente sulle parti rocciose del suolo sociale, in attesa che la cultura le permettesse di gareggiare con i più raffinati prodotti dell'arte". (Henry Bergson)


I corpi a spasso nel tempo (e nello spazio): Massimo Boldi e Christian De Sica. Nel 1983 con Vacanze di natale Carlo Vanzina dà inizio alla lunga e fortunata serie dei film natalizi, ad esso seguiranno Vacanze in America, Vacanze di natale 2000 e altri sequel diretti da Neri Parenti e Enrico Oldoini. Carlo Vanzina va oltre affidando il suo cinema al corpo degli attori. Mentre negli anni '80 erano stati Jerry Calà e Diego Abatantuono a dare un corpo ai suoi personaggi, negli anni '90 il compito è affidato a Massimo Boldi e Christian De Sica. Nel 1986 in Yuppies – I giovani di successo, Vanzina affidò loro il ruolo di una coppia di amici yuppie in cerca di avventure extraconiugali. Otto anni dopo il duo comico compirà un primo viaggio spaziotemporale con S.P.Q.R. – 2000 e mezzo anni fa, lo scenario è la Roma del 71 a. C. Successivamente il regista approfondirà il rapporto del tempo e del divenire nell'immaginario cinematografico, oltre ad insistere sul carnevale come principio unificante del comico. Nel 1996 con A spasso nel tempo e due anni dopo con A spasso nel tempo – L'avventura continua, Vanzina frantuma la linearità temporale, rifiutando di approdare a un punto di arrivo definit(iv)o. Nei due film l'unica legge della messa in scena è quella del paradosso, che sospende la linearità della narrazione/del tempo per adottare sempre nuove prospettive. E' dal gioco del tempo frantumato, che si espleta la presenza accanto al mondo ufficiale di un altro mondo o di infiniti mondi (il gioco del tempo) e di un'altra vita (la recita), da cui prende vita la maschera nel suo continuo (ri)farsi persona(ggio comico). Se Sapore di mare aveva solo nostalgicamente accennato alla fine della festa e quindi del carnevale e del riso, negli ultimi film, Il cielo in una stanza, South Kensington e Il pranzo della domenica, siamo d'accordo con Simone Emiliani quando scrive:"Esistono zone di oscurità dentro "certo" ultimo cinema dei Vanzina. Non più un cinema dell'euforia (come quello degli anni '80 che Neri Parenti, con Merry Christmas continua comunque a riciclare), ma un cinema che guarda sempre più il Tempo da dietro, con un senso di nostalgia che si mescola a pulsioni di morte", ma è anche vero che il comico oltre ad essere popolare e universale è anche ambivalente: allegro e beffardo, nega e afferma, seppellisce e risuscita, un'ambivalenza dalla quale è possibile far ge(r)minare una continua jouissance, come Vanzina ha dimostrato con La mandrakata e con il suo ultimo film Il ritorno del Monnezza. In conclusione il suo è (stato) un cinema intriso dal desiderio di una filialità (alla commedia all'italiana?) (ri)fratta, persa nell'(in)utilità di uno sguardo ludico, rovesciato nella suadente promessa di un infinito carnevale. Un carnevale che porta con sé l'illusoria maschera(ta) di una reverie (en)fatica, popolare e universale perché si espande a tutti i partecipanti.

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    Carlo Vanzina, il carnevale "infinito" del cinema

    Quello di Vanzina è un cinema intriso dal desiderio di una filialità (alla commedia dell'arte?) rifratta, persa nell'(in)utilità di uno sguardo ludico, rovesciato nella suadente promessa di un infinito carnevale, che porta con sé l'illusoria "mascherata" di una "reverie" (en)fatica, popolare e universale perché estesa a tutti i partecipanti.

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    "Secondo noi il cinema comico italiano ha fotografato la realtà in maniera formidabile. Essendo figli di un regista impegnato in prima linea proprio negli anni d'oro della commedia all'italiana, possediamo una involontaria memoria storica che ci permette di ricordare in maniera privilegiata. Abbiamo frequentato Dino Risi, Totò, Alberto Sordi, gli sceneggiatori di Germi, di Monicelli, di Ettore Scola. Siamo stati Amici con Tognazzi, e con le attrici di allora. Per noi riportare a galla quei ricordi è non solo un piacere ma addirittura un obbligo". (Carlo ed Enrico Vanzina)

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    Gruppo di famiglia in un interno (cinematografico). Non si può scrivere di Carlo Vanzina senza ricordare suo padre Steno, per l'anagrafe Stefano Vanzina, nato a Roma nel gennaio del 1915 e morto nel marzo del 1988. Laureatosi in giurisprudenza, giovanissimo entrò nella redazione di Marc'Aurelio, giornale satirico dell'epoca, cui collaboravano anche Federico Fellini, Ettore Scola e Marcello Marchesi. Steno è stato uno dei talenti più prolifici del nostro cinema: 73 regie, oltre 100 sceneggiature, 48 anni di carriera. Ha attraversato la storia del cinema italiano, sperimentando ogni genere e incrociando tutti i protagonisti della comicità all'italiana. Tra il 1949 e il 1953 diresse i suoi primi film, tra cui Totò cerca casa, Guardie e ladri, Totò a colori, con l'amico Mario Monicelli, poi ciascuno prese la sua strada. Nel 1953 firmò da solo Un giorno in pretura e Un americano a Roma, nei quali appare il mitico e bullesco personaggio di Nando Moriconi interpretato da un grande Alberto Sordi (ricordate la scena degli spaghetti? "Maccarone, m'hai provocato e io ti distruggo, adesso: io me te magno"). Altre saranno le maschere indimenticabili del suo cinema, grazie alla collaborazione con attori come Rascel, Chiari, Tognazzi, Vianello, ma anche Montesano, Villaggio e Pozzetto interpreti di film, con cui Steno è stato capace di trasmetterci, pur in uno specchio deformante, la verità della piccola Italia dagli anni '40 in poi. I due figli, Enrico e Carlo, hanno entrambi coltivato la passione paterna. Enrico, nato nel 1949, dopo essersi laureato in Scienze politiche e Sociologia, ha intrapreso la carriera di sceneggiatore scrivendo film per Dino Risi, Marco Risi, Alberto Lattuada, Mario Monicelli, Nanni Loy, oltre a quelli diretti da suo fratello. Carlo, nato nel 1951, ha vissuto il cinema fin dall'infanzia, nel 1952 è stato il piccolo Filippo in Totò e le donne diretto dal padre; dopo il diploma alla scuola francese Chateaubriand di Roma ha iniziato come aiuto regista di Mario Monicelli nei film Brancaleone alle crociate (1970) e La mortadella (1971), in seguito con il padre in Anastasio mio fratello (1973) e con Alberto Sordi in Polvere di stelle (1973). L'esordio dietro la macchina da presa è avvenuto nel 1976 con Luna di miele in tre interpretato da Renato Pozzetto.

    "In tutto ciò che è capace di eccitare un vivace scoppio di riso, deve esserci qualcosa di assurdo. Il riso è un'affezione che deriva da un'aspettazione tesa, la quale d'un tratto si risolve in nulla. Proprio questa risoluzione, che certo non ha niente di rallegrante per l'intelletto, indirettamente rallegra per un istante con molta vivacità". (Emmanuel Kant)


    Da Jerry Calà a Diego Abatantuono: il corpo (comico) come situazione, carattere, parola. La prima interessante collaborazione di Carlo Vanzina è con i Gatti di Vicolo Miracoli (Gerry Calà, Umberto Smaila, Nini Salerno e Franco Oppini), che il regista dirige nel 1979 in Arrivano i Gatti e l'anno successivo in Una vacanza bestiale. Due film in cui la forma della commedia, intesa come realtà simulata degli eventi umani, appare tanto più vera della realtà quanto più il falso della scena esaspera i caratteri e le situazioni reali (basterebbe ricordare la sequenza al campo dei nudisti o la passeggiata dei quattro, che attraversano nudi la città). Ma il primo vero successo della sua carriera arriva con I Fichissimi (1981), nel film Jerry Calà è Romeo, un posteggiatore milanese, che si innamora di Giulietta, sorella di Felice (Diego Abatantuono), immigrato pugliese e suo acerrimo nemico. Il film impone la presenza fisica e il buffo terronese di Abatantuono: robusto, baffoni, capelli ricci scompigliati e una lingua nuova, un impasto di cadenza milanese, dialetto pugliese, deformazioni lessicali e invenzioni di gergo. Nei due film successivi Eccezzziunale… veramente e Viuuulentemente mia, entrambi del 1982, la mimica e la lingua di Felice sono portate all'estremo. Non va dimenticato che Carlo Vanzina nel 1971 era stato aiuto regista di Monicelli nel film Brancaleone alle crociate, séguito de L'armata Brancaleone del 1966 (per i due film gli sceneggiatori Age e Scarpelli avevano inventato un irresistibile linguaggio maccheronico, ricco di latinismi tardomedievali e di italiano arcaico, vicino alle parodie linguistiche del Pulci e di Teofilo Folengo). Se il secondo film si presenta come una vivace sequenza di giochi comici, in cui il personaggio di Abatantuono libera il piacere del gioco scenico, il primo film è dominato da un continuo capovolgimento di prospettiva, dall'attenzione per una realtà irregolare e per la fisicità del comico. In esso il corpo dell'attore si frantuma nella sua uni(vo)cità, interpretando Donato, un tifoso milanista a capo delle Brigate rossonere; Franco, un'interista continuamente gabbato dagli amici e, infine, Tirzan, un camionista juventino, che per inseguire la sua squadra in trasferta a Parigi si fa rubare il camion che aveva scambiato con un collega. Il personaggio interpretato da Abatantuono dà spessore alla figura comica del clown, inteso come villano arguto e il cinema di Carlo Vanzina diventa un tendone di circo(i)larità comica sotto il quale non si è/vuole essere artisti perplessi, ma si gioca a fare i pagliacci. L'anno successivo è la volta di Sapore di mare, ritratto di gioventù al mare nell'anno 1964. Nel 1983 eravamo troppo piccoli, nel 1964 non eravamo ancora nati, non abbiamo vissuto il boom economico, le idealità degli anni settanta, abbiamo vissuto solo in limine il riflusso e la fuga dall'impegno degli anni ottanta e siamo cresciuti nella (dis)illusione degli ideali manca(n)ti e soggettivati degli anni novanta. Oggi quel film sembra non appartenerci. Eppure, in esso sembra esserci il carnevale dell'esistenza, così come lo aveva raccontato Federico Fellini ne I vitelloni, con Alberto Sordi che, vestito da donna, trascina la testa del vecchio carnevale all'alba, alla fine della festa. Anche nel finale del film di Vanzina la girandola goliardica sembra doversi interrompere, cedere il posto all'amara consapevolezza del passare del tempo. E invece? Qui, non sono i padri, biologici o putativi, ad essere irraggiungibili, ma i figli a non volerli raggiungere.

    "Ora, la fantasia comica è veramente una energia vivente che ha germogliato rigorosamente sulle parti rocciose del suolo sociale, in attesa che la cultura le permettesse di gareggiare con i più raffinati prodotti dell'arte". (Henry Bergson)


    I corpi a spasso nel tempo (e nello spazio): Massimo Boldi e Christian De Sica. Nel 1983 con Vacanze di natale Carlo Vanzina dà inizio alla lunga e fortunata serie dei film natalizi, ad esso seguiranno Vacanze in America, Vacanze di natale 2000 e altri sequel diretti da Neri Parenti e Enrico Oldoini. Carlo Vanzina va oltre affidando il suo cinema al corpo degli attori. Mentre negli anni '80 erano stati Jerry Calà e Diego Abatantuono a dare un corpo ai suoi personaggi, negli anni '90 il compito è affidato a Massimo Boldi e Christian De Sica. Nel 1986 in Yuppies – I giovani di successo, Vanzina affidò loro il ruolo di una coppia di amici yuppie in cerca di avventure extraconiugali. Otto anni dopo il duo comico compirà un primo viaggio spaziotemporale con S.P.Q.R. – 2000 e mezzo anni fa, lo scenario è la Roma del 71 a. C. Successivamente il regista approfondirà il rapporto del tempo e del divenire nell'immaginario cinematografico, oltre ad insistere sul carnevale come principio unificante del comico. Nel 1996 con A spasso nel tempo e due anni dopo con A spasso nel tempo – L'avventura continua, Vanzina frantuma la linearità temporale, rifiutando di approdare a un punto di arrivo definit(iv)o. Nei due film l'unica legge della messa in scena è quella del paradosso, che sospende la linearità della narrazione/del tempo per adottare sempre nuove prospettive. E' dal gioco del tempo frantumato, che si espleta la presenza accanto al mondo ufficiale di un altro mondo o di infiniti mondi (il gioco del tempo) e di un'altra vita (la recita), da cui prende vita la maschera nel suo continuo (ri)farsi persona(ggio comico). Se Sapore di mare aveva solo nostalgicamente accennato alla fine della festa e quindi del carnevale e del riso, negli ultimi film, Il cielo in una stanza, South Kensington e Il pranzo della domenica, siamo d'accordo con Simone Emiliani quando scrive:"Esistono zone di oscurità dentro "certo" ultimo cinema dei Vanzina. Non più un cinema dell'euforia (come quello degli anni '80 che Neri Parenti, con Merry Christmas continua comunque a riciclare), ma un cinema che guarda sempre più il Tempo da dietro, con un senso di nostalgia che si mescola a pulsioni di morte", ma è anche vero che il comico oltre ad essere popolare e universale è anche ambivalente: allegro e beffardo, nega e afferma, seppellisce e risuscita, un'ambivalenza dalla quale è possibile far ge(r)minare una continua jouissance, come Vanzina ha dimostrato con La mandrakata e con il suo ultimo film Il ritorno del Monnezza. In conclusione il suo è (stato) un cinema intriso dal desiderio di una filialità (alla commedia all'italiana?) (ri)fratta, persa nell'(in)utilità di uno sguardo ludico, rovesciato nella suadente promessa di un infinito carnevale. Un carnevale che porta con sé l'illusoria maschera(ta) di una reverie (en)fatica, popolare e universale perché si espande a tutti i partecipanti.

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