Caro Quentin Tarantino, sul cinema italiano hai completamente ragione, ma vieni a vedere "Cemento Armato" di Marco Martani… scommettiamo che cambierai idea?
Cemento armato è una sorta di “ultima spiaggia” per il cinema italiano di genere, se non, forse, addirittura, per il cinema italiano tout court. Perché è esattamente il contrario di quel cinema “deprimente”, di cui abbiamo avuto una “magnifica” conferma con i film italiani visti a Venezia.
Lettera aperta sul cinema italiano a Quentin Tarantino, che è anche un viaggio nel cinema della coppia Brizzi/Martani, perché forse è il momento di cominciare ad urlare i nostri NO a questa “casta” (giornalisti, critici e ministeri in primis) che sta uccidendo il nostro cinema e a difendere con i denti quei pochi cineasti diversi che meritano il pubblico. E che il pubblico si merita.
Caro Quentin,
Sentieri selvaggi ne sta già parlando da settimane, il resto della grande stampa non tanto (ma la rete per fortuna si), se non per dare un po’ di visibilità alla coppia emergente di attori giovani Crescentini/Vaporidis. Ma c’è un film che esce nelle sale, Cemento armato, opera prima di Marco Martani che piomba sul mercato con 350 copie e che, stranamente, va sostenuto.
Diciamo stranamente perché un film che esce in 350 copie è un film commerciale, spinto da un lancio promozionale con discreto budget, promosso sui media nientemeno che dallo Studio Lucherini… Eppure….
Eppure Cemento armato è una sorta di “ultima spiaggia” per il cinema italiano di genere, se non, forse, addirittura, per il cinema italiano tout court. Perché è esattamente il contrario di quel cinema “deprimente”, di cui abbiamo avuto una “magnifica” conferma con i film italiani visti a Venezia.
Cemento armato, frutto dell’esperienza della coppia di sceneggiatori ormai cineasti Brizzi/Martani, rappresenta un esordio limpido e folgorante, qualcosa di talmente diverso da quello che siamo abituati a vedere qui in Italia, e mi verrebbe da paragonarlo all’effetto che fece A bout de souffle in Francia quando uscì nel 1959, della coppia Godard/Truffaut. Già mi immagino i “guru” della critica italiana sorridere o sbraitare di fronte a una simile affermazione. Ma intanto, e al diavolo la modestia, Marco Martani si è “formato” da ragazzo scrivendo sulle pagine di Sentieri selvaggi così come i “giovani turchi” su quelle dei Cahiers du Cinema, e, soprattutto, hanno avuto dei maestri un po’ diversi dai borghesucci dei salotti bene di sinistra che dilagano nel mare morto (infatti galleggiano…) del cinema italiano. Brizzi e Martani sono cresciuti scrivendo le commedie per Boldi e De Sica e i loro “modelli” nazionali non sono certo né gli Scola né i MarcoTullioGiordana con le sue megliogioventù. Al contrario questi due nuovi talenti del cinema italiano hanno saputo “rubare” dai Enrico e Carlo Vanzina, da Neri Parenti, che sono tra i pochi che in Italia fanno un cinema commerciale ma straordinariamente ricco di immaginario popolare, di uno sguardo non rinchiuso nell’ideologico e nella tristezza dei quarantenni in crisi di identità. No. Marco e Fausto hanno scritto dei film con la forza strutturale di due sceneggiatori hollywoodiani, e non a caso per questo film si sono avvalsi del soggetto e della collaborazione alla sceneggiatura di un ragazzo sconosciuto, Luca Poldelmengo (a proposito: che stampa e mediocre e dilettantesca che abbiamo: questa è una storia bella, quella di un ragazzo che frequenta una Scuola di Cinema, conosce Martani che fa una docenza, e poi gli manda un soggetto, e lo insegue per mesi finché Marco non lo legge e ne rimane fulminato. Ma perché dobbiamo avere una stampa così incapace di “vedere le storie” da raccontare? Se non vedono il reale come fanno a vedere l’altro reale del cinema?…) che a sua volta ha imparato a scrivere di cinema sotto la guida di Demetrio Salvi, che certo non è noto in Italia come uno sceneggiatore famoso, ma è forse il più grande insegnante di strutture narrative per il cinema che abbiamo, e che a sua volta è cresciuto studiando e frequentando i corsi di Robert McKee, che qui in Italia nessuno sa chi è ma da voi in America si…
Insomma questi ragazzi scrivono film per le commedie di Natale, sono dei “capolavori popolari” che vengono stroncati come “cine-panettoni”. Poi a un certo punto gli viene commissionata una sceneggiatura sugli Anni Ottanta, per sfruttarne il periodo di revival. Scrivono una commedia giovanile fresca e deliziosa, FINALMENTE senza la politica e “l’impegno sociale” (che se non lo metti nei film italiani
E chi li ferma ora? Possono sfruttare il filone e diventare le nuove galline dalle uova d’oro del cinema italiano, hanno i produttori in pugno possono fare quello che vogliono. E che fanno?
Fanno un noir. Un noir!!! Un thriller metropolitano in Italia nel 2007!!!! Ispirato poi mica ai prodotti televisivi tipo Distretto di polizia (per citare quelli qualitativi), no…troppo facile…il cinema televisivo lo fanno altri anche perchè loro la tv l’hanno già frequentata lavorando per diverse serie… No, Fausto e Marco fanno un poliziesco alla Fernando Di Leo, con venature alla Friedkin, look alla Carpenter, mixando il tutto con una storia di rabbia giovanile che sembra venire dal Coppola di Rumble Fish (Rusty il selvaggio) e The Outsiders (I ragazzi della 56as strada) mescolata con il cinema dei ragazzi sventurati, romantici duri teneri e cattivi di Nicholas Ray (il Farley Granger di They Live By Night – La donna del bandito e il John Derek di Knock on Any Door – I bassifondi di San Francisco). Ma il tutto in una Roma bellissima e invisibile, che potrebbe essere qualsiasi altra città del mondo, tra le tangenziali e i quartieri ex popolari, la notti buie sul lungofiume con le figure degli attori in silhouette controluce, che il direttore della fotografia, sul set, ha detto “ma sei sicuro che l’attore non si deve vedere in faccia???”.
E con una storia d’amore tenerissima, con un fiore che spunta su di un letto che sembra strappato da un mèlo hongkonghese, con dei cattivi mai così “neri” e credibili cinematograficamente, con persino un Ninetto Davoli “sfasciacarrozze” meraviglioso, come se
Insomma, caro Quentin, questo è un film che sono certo ameresti subito. Per la passione e la tecnica, per la struttura perfetta e la fluidità dello sguardo della macchina da presa, capace di “vedere” la città come raramente si vede nel cinema italiano (forse solo Dario Argento sa raccontare così Roma).
E qui che fanno quelli della CASTA dei critici e giornalisti? Lo ignorano, oppure lo stroncano. E l’unico che lo tratta bene, su Repubblica, lo fa scrivendo che il film si salva grazie al romanzo di Sandrone Dazieri da cui è tratto!!!! Vedi come sono disinformati i nostri critici? Che non perdono tempo neppure a leggersi i pressbook, a capire le storie che stanno dietro i film (come quella del giovane sceneggiatore di cui prima…), a distinguere tra i film tratti da romanzi e i romanzi tratti dai film….
E’ vero quello che hai detto che il cinema italiano è triste e deprimente, ma non è tutto così. Se venivi a Venezia ti avrebbero massacrato (la “Casta” dei critici/giornalisti di potere) e avresti solo avuto conferme delle tue idee sul cinema italiano di oggi.
Oggi con Cemento armato il nostro cinema ha una grande occasione: se il pubblico lo accoglie con successo si può, forse, aprire la strada per un nuovo cinema di genere in Italia. Se neppure i due cineasti di maggior successo degli ultimi anni ci riescono allora ogni porta rimarrà chiusa ancora a lungo. Il problema non è per Brizzi e Martani, loro vivranno bene facendo i film di Natale… il problema è per noi: quanto ancora dobbiamo sopportare i lamenti d’autore del nostro cinema assistito e sinistrorso insopportabile e dilettantesco??? Questo film ci potrebbe far dire a tutti un BASTA! Basta con questo cinema italiano “d’apparato” e viva i cineasti liberi e selvaggi, che la critica massacra o ignora (che siano Brizzi e Martani, o i Corso Salani con il suo cinema herzoghiano itinerante, i Calopresti, gli sperimentalismi di Mauro Santini, il cinema troisiano/garrelliano di Angelo Orlando, ecc… poco importa).
Intanto, noi, oltre a te, invitiamo tutti i lettori di Sentieri selvaggi ad andare a vedere questo film, soprattutto se, come noi, non ce la fanno più a sopportare i tanti altri cineasti mediocri del cinema più brutto del mondo….
Federico Chiacchiari