CATTIVE LETTURE – Se mi vuoi bene, di Fausto Brizzi

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Dopo  il successo (inaspettato?) di Cento giorni di Felicità, Fausto Brizzi ha deciso di immergersi seriamente in quest’avventura, scrivendo il suo secondo romanzo, Se mi vuoi bene, un'opera che, accomodandosi tra il sarcasmo british del miglior Nick Hornby e la furba narrazione di un Lorenzo Licalzi, decide di affrontare un tema attuale e pesante come la depressione con il sorriso sulle labbra.

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brizzi-05_5507d3029fc09.jpg (607×464)Dopo essere diventato, attraverso i suoi script, le sue regie e la sua casa di produzione Wildside, una delle figure chiavi del cinema comico italiano, Fausto Brizzi ha deciso di aprirsi una nuova, rischiosa carriera. Con il successo (inaspettato?) di Cento giorni di Felicità (pubblicato in circa quaranta paesi), opera alla Rob Reiner sulle avventure di un dolce malato terminale nei suoi ultimi cento giorni di vita (progetto già programmato per approdare in tv sulle spalle di Flavio Insinna), l’autore romano ha deciso di immergersi seriamente in quest’avventura, scrivendo il suo secondo romanzo, Se mi vuoi bene. Accomodandosi tra il sarcasmo british del miglior Nick Hornby e la furba narrazione di un Lorenzo Licalzi, il libro di Brizzi decide di affrontare un tema attuale e pesante come la depressione con il sorriso sulle labbra. Se mi vuoi bene parla, infatti, di Diego Anastasi avvocato che ormai sulle soglie dei cinquant’anni si ritrova con un bagaglio emotivo a pezzi, decide di affrontare il suo male di vivere impegnandosi attivamente per i suoi cari, spesso distratti, stravolgendone l’esistenza. L’auto-analisi di Diego, la sua strada interiore verso una rinascita che gli dia nuovo slancio per un futuro di speranza, è solo l’ultima scusa che Brizzi ha per parlare di se. I racconti delle infanzie felici al mare, dei nonni affettuosi e degli splendidi anni ottanta, come in una delle migliori pellicole da regista (Notte prima degli esami) qui tornano prepotentemente in vita. La nostalgia come cura contro il grigio e disperato domani, sembra dirci Brizzi che in una letteratura terapeutica trova la chiave ideale per entrare nelle sfumature del male oscuro. Attento a calibrarsi tra la comicità e la commozione, il regista-scrittore ci regala una piccola opera che forse, senza grandi ambizioni, cerca di accarezzare i propri lettori piuttosto che rovesciargli addosso emozioni, urlargli in faccia i dolori. Certo, Se mi vuoi bene è più vicino, ideologicamente, alle leggere sfumature e ai meccanismi comico-emotivi del Brizzi regista (spesso innamorato di spunti e personaggi non all’altezza) che alla sfrenata e irriverente strafottenza del Brizzi sceneggiatore di Cinepanettoni (le folli vette di Merry Christmas, probabilmente, non verranno mai più raggiunte) ma anche cosi lo scrittore si conferma penna competente e interessante. Soprattutto nel paragone con il già citato Hornby, ormai destinato tristemente all’autocelebrazione e al manierismo sentimentale, il modello letterario Brizzi funziona. Perché chi riesce con serenità a guidare il pubblico dentro i propri comodi mondi, pur senza esagerare, ha sempre la vittoria in tasca.

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