Chiamami col tuo nome. Incontro con Luca Guadagnino e il cast

Il regista Luca Guadagnino è a Roma con Armie Hammer e Timothée Chamelet per presentare il suo film, in uscita domani in sala in Italia forte della notizia delle 4 nomination agli #Oscars2018

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Si è svolto oggi l’incontro della stampa romana per Chiamami col tuo nome, il nuovo film di Luca Guadagnino candidato a 4 prestigiosi Oscar. Presenti erano i due attori protagonisti Timothée Chamelet e Armie Hammer e ovviamente l’italianissimo regista. Giunti intorno all’ora di pranzo, in una sala dell’Hotel De Russie di Roma, i tre si sono accomodati (Hammer in una curiosa tuta sportiva Adidas) dinanzi ai giornalisti per rispondere alle loro domande. Ad accendere la fiamma della conferenza è stato il giovane attore statunitense Timothée Chamelet: “Ciò che mi ha attirato di più a partecipare a Chiamami col tuo nome, è stata la possibilità di lavorare con Luca perché già è raro per un attore della mia età interpretare un ruolo del genere, ma lo è ancora di più se questo significa lavorare con grandi registi che hanno alle spalle molte opere. Come attore il mio compito è di rendere giustizia al personaggio e alla storia per renderli veritieri. Sentendomi aperto e non vulnerabile al fine di valorizzare il mio ruolo, soprattutto considerando che il libro è stato un successo mondiale”.

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Il ragazzo ha mostrato grande disinvoltura e saggezza anche nell’affrontare tematiche delicate come quelle dell’amore: “Per me il monologo del padre alla fine del film è un modo per affrontare l’amore. Noi dobbiamo rapportarci al nostro istinto nei confronti della nostra sessualità. Alcuni mi hanno detto che quel momento tratta del dolore e di come gestirlo ed effettivamente avevano ragione. Ho ritrovato il libro originale di Call me by your name, che comprai 5 anni fa, ed ho notato che avevo sottolineato proprio le parole finali pronunciate dal padre del mio personaggio nel film. Quello è il momento più importante di tutta la storia, perché ci insegna che avere il cuore a pezzi non richiede in alcun modo che venga aggiunto un ulteriore livello di sofferenza al tutto. La cosa che mi fa sorridere quando penso a me e al personaggio che interpreto è che non ricordo di aver mai avuto una storia d’amore così appassionata con dei momenti così significativi. E per me questa è stata la vera esperienza, ossia cercare di interpretare un ruolo che riguardi un momento di amore che va al di là della sessualità. Una scena molto importante del film ci permette di esprimere il senso vero dell’amore al di là delle definizioni e dei confini, un qualcosa di veramente organico. Se siamo in grado di andare oltre le etichette così rigorose che vengono adottate nell’Occidente nei confronti dell’amore che o è gay, o è bisessuale o è eterosessuale, allora credo che possiamo essere veramente liberi. E’ importante impegnarsi fino in fondo nei confronti dell’amore e anche della sofferenza”.

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I critici internazionali hanno, in alcuni casi, criticato il fatto che una famiglia così aperta mentalmente come quella del film di Luca Guadagnino, non esistesse negli anni 80. A tal proposito il regista ha precisato: “Secondo me l’utopia è la pratica del possibile e quindi la famiglia che ho mostrato nel film, negli anni 80, esiste eccome. Se il protagonista del film è all’aurora della sua vita, d’altro canto l’anno in cui vive, il 1983, è il tramonto di un’epoca il cui risultato lo viviamo ancora oggi. E infatti quella capacità di essere così aperti a livello emotivo che la generazione degli anni 70 aveva portato con sé si è poi subito perduta, e per questo ci sembra strano che ci possano essere genitori con la capacità di trasmettere il loro sapere emotivo ai propri figli. Proprio per questo ho voluto fare il film”.
Guadagnino si è poi concesso a rivelare qualche dettaglio tecnico sul suo modo di fare cinema: “Ho imparato nel tempo che la cosa più importante è il movimento del quadro all’interno del quadro, ossia come prende vita una sequenza a partire dai singoli elementi che la compongono. A me piace, insieme ai miei attori, dimenticare la sceneggiatura e ricominciare da capo per tessere la tela della scena. Poi arriva la fase più importante ossia quella del montaggio, in cui noi abbiamo il compito di fare in modo che questa tela venga esaltata al massimo e la verità del lavoro degli attori venga tirata fuori e resa scintillante. Io e il mio montatore abbiamo una passione per l’immaginario decostruttivista e per questo ci piace la dissonanza più che l’assonanza, una ricerca che ci portiamo avanti da tempo è quella di fare armonia nella dissonanza, che è una cosa complicata ma abbiamo il privilegio di fare film che vogliamo fare. Francamente non ricordo, a parte Melissa P, di avere mai avuto alcun tipo di controllo sui miei film e questo per me è la cosa più importante. Oltre al non fare mai un film dove ci sia un attore che venga prima di me”.

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Armie Hammer, piuttosto silenzioso e per le sue, si è concesso per un momento ai microfoni per elogiare il lavoro fatto dal regista del film: “Luca è dotato di una grande capacità di equilibrio. A volte è difficile lavorare con registi ingombranti che ti chiedono di spostarti un po’ più a destra, chinarti a sinistra e via dicendo, mentre con Luca ho potuto lavorare in straordinaria libertà. Aggiungo che la scelta di riprendere con un unico obiettivo da 35mm e una cinepresa, ci permetteva di muoverci liberamente ed esprimerci nel modo migliore per quel momento. Se questo equilibrio si raggiungeva ed era credibile allora si andava avanti senza interruzioni, altrimenti Luca interveniva con leggerezza e facendo domande volte proprio a riportarti in quella realtà che era e che è Chiamami col tuo nome“.

Per concludere in allegria la conferenza, Guadagnino e Chamelet hanno parlato di tutto il loro entusiasmo per il traguardo raggiunto agli Oscar dopo oltre un anno di premi e nominations nei vari festival di tutto il mondo. A cominciare è stato il regista, avventuratosi in un divertente aneddoto: “Siamo felici per le 4 candidature agli Oscar. Condividiamo con la troupe questo successo. Quello di Call Me By Your Name è un percorso molto pacato e minimale e il risultato che ha avuto insegna che la passione e l’inaspettato vanno mano per la mano. L’unica volta in cui ho pensato di andare agli Oscar è stato quando avevo 20 anni. Mentre ero sul bus che portava dall’università a casa, guardai il Vaticano e dissi ad una mia carissima amica che non sarei mai potuto diventare Papa ma che forse una nomination all’Oscar l’avrei potuta prendere. Sono convinto che non vincerò agli Oscar, ma sono già felicissimo così.” Il giovane attore ha mostrato lo stesso identico entusiasmo tramite le sue parole: “La nomination mi è sembrata un sogno. Sono pieno di gratitudine per essa perché da giovane artista è molto incoraggiante ricevere certi segnali: mi fanno capire che forse la carriera che ho scelto è quella giusta. Dopo molti anni di studi con attori e nel mondo del cinema in generale, so benissimo come ci si possa sentire da attore che fa un provino alla settimana e poi si tormenta di non avere fatto centro. A questo punto, quindi, la mia responsabilità è di godermi al massimo questo momento perché nella carriera di un attore ci sono momenti bassi e alti, e quando uno si trova in questi ultimi penso che sia giusto e legittimo che se li goda”.

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