#CinemaRitrovato2018 – Mastroianni psichedelico

Due film, tra quelli in rassegna, raccontano meglio di altri l’originalità e lo straniamento poetico dell’attore: Spara forte, più forte…non capisco e Leo the last.

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Cos’hanno in comune Eduardo De Filippo e John Boorman? In apparenza assolutamente nulla, se non il fatto di aver lavorato entrambi con Marcello Mastroianni. I film in questione sono datati rispettivamente 1966 e 1971, mal distribuiti al tempo e quasi invisibili in home video, e non godono di particolare fama tra gli ammiratori dell’attore italiano. Uno dei meriti della retrospettiva che la trentaduesima edizione de Il Cinema Ritrovato ha dedicato a Mastroianni, dal titolo “Marcello come here: Mastroianni ritrovato (1954-1974)”, è quello di aver recuperato diversi titoli collaterali ai grandi classici. Tra questi appunto Spara forte, più forte…non capisco di De Filippo e Leo the Last (Leone l’ultimo) di Boorman. Due film  diversissimi l’uno dall’altro, ma allo stesso tempo accomunati da una cadenza onirica e straniante, quasi psichedelica. E da un doppio finale esplosivo, nel vero senso del termine.

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Tratto da Le voci di dentro, commedia teatrale dello stesso De Filippo, Spara forte, più forte…non capisco è davvero uno dei film maggiormente dimenticati del cinema italiano e segna un’altra incursione nei territori napoletani da parte di Mastroianni dopo i film diretti da Vittorio De Sica. Qui interpreta Alberto Saporito, uno scultore che vive pigramente la sua vita insieme a uno zio svitato, che comunica solo sparando fuochi d’artificio. Alberto una notte crede di assistere a un omicidio operato dai suoi vicini di casa. Va alla polizia, denuncia tutto, salvo poi rendersi conto di aver sognato ogni cosa. Ma è veramente tutto frutto della sua fantasia? La commedia si tinge così di giallo ma

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anche di psichedelia pop con la sequenza del sogno che sembra influenzata dal Fellini di Giulietta degli spiriti, ma anche da certe soluzioni scenografiche e cromatiche di Mario Bava. Il De Filippo regista fa di tutto per allontanarsi dalla staticità teatrale, sfruttando le potenzialità del colore e del mezzo cinematografico. E questo è l’aspetto più sorprendente di un film che si avvale anche della presenza straniante e antinaturalistica di Rachel Welch, doppiata con accento settentrionale, e autentica icona di certo immaginario femminile anni 60. Alla sua fisicità Mastroianni contrappone un’interpretazione sospesa tra sogno e realtà.

E sente le voci, o almeno un certo tipo di voci, anche il Mastroianni anglosassone di Leo the Last, stranissima parentesi in terra straniera diretta da John Boorman un paio d’anni dopo Duello nel Pacifico. Un film piccolo ma delirante e politico, molto figlio del suo tempo. Leo è una sorta di principe ereditiero, che torna a vivere a Londra nel palazzo di famiglia. Circondato da maggiordomi, amanti e amici meschini interessati alle sue proprietà, lui è molto più proteso verso la fauna umana che scruta lungo la strada dalla sua finestra: uomini e donne di colore sfruttati. Leo è forse l’ultimo dei giusti, oppure è solo un aristocratico impazzito, ma cercherà comunque di lottare contro la sua stessa ricchezza e di tutelare i diritti dei più deboli. Il finale con tanto di esplosione del palazzo, inquadrata da più macchine da presa, sembra quasi gemello all’epilogo di Zabriskie Point. Un film curioso davvero quello di Boorman, inizia come una commedia sperimentale e finisce come grottesca parabola sulla classi sociali e sui moti rivoluzionari. Con improvvisi frammenti musical che sembrano contrapporsi alla passività pensosa e autoironica dell’attore italiano. A volte nel vedere alcuni suoi film Mastroianni non sembra esserci davvero, eppure è lì, come se fosse la magnifica allucinazione cinefila di qualcun altro.

 

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