CINEMONDO 2013 – Roma wa la n'touma, di Tariq Teguia

tariq teguia roma wa la n'touma

Teguia porta nel suo primo lungometraggio lo sguardo sospeso, sperimentale, errante che già definiva i suoi corti originali, che cattura istanti di spazio (una strada, i lampioni, i bordi…) nella confusione cromatica della notte e del giorno e che si definisce nelle inquadrature espanse e Nouvelle Vague. L'imperdibile esordio del cineasta algerino questa sera alle 21.00 al Cinemondo di Villa Medici

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"Siamo persi o non ancora?", si chiede Zina attraversando in auto di notte durante il coprifuoco le strade periferiche di un quartiere algerino degradato e fantasma. Frase-segno di riconoscimento nel quale si specchia tutto Roma wa la n'touma (Roma piuttosto che voi), opera prima del regista algerino Tariq Teguia (presentata nella sezione Orizzonti). Teguia porta nel suo lungometraggio d'esordio il suo sguardo sospeso, sperimentale, errante che già definiva cortometraggi originali come Ferrailles d'attente (1998), vero e proprio gioiello underground del cinema arabo recente, e Haçla (2002).

I due protagonisti di Roma wa la n'touma, la giovane Zina (Samira Kaddour) e il fidanzato Kamel (Rachid Amrani), si perdono nei luoghi e nelle immagini nel corso di un giorno, una notte, un altro/stesso giorno, spingendosi sempre più dalle strade, dalle abitazioni, dalle architetture cittadine verso gli spazi fatiscenti e marginali di un quartiere in costruzione. Alla ricerca di un uomo. Nel tentativo, sognato da Kamel, di ottenere un passaporto per l'America o l'Europa. Zina, ragazza forte e determinata, lo segue in quel detour dal quale sarà impossibile uscirne vivi. Sconfinamento visionario, onirico, slabbrato, che Teguia di-segna fin dalla sequenza iniziale, esemplare raccordo tra Ferrailles d'attente e Roma wa la n'touma, sguardo che cattura istanti di spazio (una strada, i lampioni, i bordi…) nella confusione cromatica della notte e del giorno. Sarà così ovunque, nella costruzione di inquadrature espanse e nouvelle vague, nell'elaborazione di una stratificata dimensione sonora (suoni, musica, rumori) che genera continue apnee sensoriali, nello sconfinamento scivolamento verso il fuori campo alla ricerca di altri frammenti di derive urbane su cui sostare.

Uno straordinario viaggio in auto, (come) un lungo piano sequenza, che si mantiene tale anche là dove è interrotto da stacchi di montaggio, nel labirinto del quartiere malfamato, avanzando e indietreggiando. Una inattesa partita a pallone sulla spiaggia con ragazzini che appaiono all'improvviso. Una violenta discussione con due poliziotti che pattugliano la zona. Ma anche scene meno espanse e altrettanto potenti (basti pensare a quella con Zina che scende le scale del palazzo dove abita, seguita da una macchina da presa che respira con lei, e con lei e con i rumori che arrivano dalla strada cambia passo, in una intima condivisione dei gesti, fino allo sguardo in macchina della ragazza). Per l'esplorazione cinefila di spazi da attraversare con diversi ritmi di sguardo, rallentando e accelerando l'andatura, come ben custodisce la scena finale con l'auto che se ne va (verso dove?; viene alla mente la fuga impossibile di Stesso sangue, capolavoro fuori tempo di Egidio Eronico e Sandro Cecca) dal quartiere. "Voi siete qui. Ma mi piacerebbe essere là", legge e commenta Kamel osservando le cartine geografiche appese a una parete. Ulteriore, significativo senso apolide di un film, certo non casualmente, ambientato negli anni della paura e dello spaesamento interiore e fisico generati dalla guerra e dal terrore fondamentalista in Algeria.

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