Come hanno reagito gli artisti inglesi alla Brexit?

Album taglienti, libri profetici e film che provano a far rivivere il perduto spirito di coesione. A pochi giorni dalla Brexit proviamo a vedere come hanno reagito gli artisti artisti inglesi

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Quando un paio di anni fa Danny Boyle usciva con un secondo capitolo di Trainspotting in tanti si chiesero se lavorare ad un revival di un film cult per intere generazioni di cinefili potesse essere una necessità così impellente per il sempre originale regista mancuniano. Così, se la materia narrativa si era risolta – forse anche giustamente – in una gigantesca operazione nostalgia, a livello di linguaggio T2 portava alle estreme conseguenze quel lavoro sui formati iniziato ai tempi del VHS,  accedendo definitivamente alle nuove tentazioni del codice binario.
Tra le intuizioni del film anche quella di aggiornare la playlist, andando oltre i due manifesti del primo capitolo, Lust for Life di Iggy Pop e Born Slippy di Underworld, per proporre qualcosa di più vicino ai neofiti millennials. Ma allora tutto questo lavoro un (bel) po’ nubiloso su di una generazione cresciuta con il mito di Michael Owen ed MTV, non potrebbe essere ripensato oggi come semplice e lineare paura di scivolare nell’oblio? Che quindi la corsa notturna di Mark Renton e soci in una Edimburgo deserta non fosse una allegoria di tanti britannici che fuggono sconvolti dall’uragano Brexit?

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Del resto il motivo chiave del film era Silk di Wolf Alice, un testo che grida aiuto, che implora vicinanza in un momento di estrema difficoltà. Stesso senso di desolazione e di negazione della possibilità di sentirsi liberi che si ritrova in disco molto più recente, e dunque ancor più covato dal peso della rabbia sociale, dall’ansia di cadere a picco nel baratro. L’album in questione è Trust In The Lifeforce Of The Deep Mystery di The Comet is Coming, progetto parallelo di Shabaka Hutching dei Sons of Kemet, che a dire il giusto già si erano levati qualche sassolino dalla scarpa con l’ultimo esplosivo Your Queen Is a Reptile.

Vero e proprio impegno civile quello del musicista caraibico, che firma un lavoro che in certi momenti ricorda The Piper At The Gates of Dawn, mantenendo intatto quell’istinto psichedelico à la Syd Barrett ma al contempo scocca frecce verso un incerto e caleidoscopico domani. A  dargli man forte a metà disco c’è del resto Kate Tempest, una che il sovranismo in salsa nazionalista non lo riesce proprio a digerire. Proprio nel 2016, anno del fatidico referendum, con Let Them Eat Chaos veniva fuori un magma di parole che, in una commistione tra hip-hop, happening e poetry slam, denunciava gli eccessi del capitalismo, le storture del neo-liberismo e rimetteva al centro l’essere umano in balia della Babilonia moderna.

Basta riprendere il recente romanzo di Jonathan Coe Middle England per intuire, da esterni, quanto la quieta disperazione del popolo inglese (Roger Waters dixit) si sia trasformata col tempo in rabbia, in odio sociale, in ricerca del capo espiatorio.
Il cinema ha cercato di ricucire lo strappo riportando sul grande schermo momenti gloriosi come in L’ora più buia di Joe Wright o Dunkirk di Christopher Nolan. Entrambi incentrati su un momento cruciale per la futura nascita dell’Unione Europea, ma altrettanto attenti a consolare i sudditi di sua Maestà condensando tutto dietro un ammaliatore don’t give up. Molto più catastrofista sembra essere invece Brexit: the uncivil war con Benedict Cumberbatch, già andato in onda su Channel 4 (quale posto migliore se non nel palinsesto che diede i natali a Black Mirror?) e che sembra ricostruire gli intrighi finanziari che hanno portato alla vittoria del Leave, sostenuto da personaggi poi finiti nel dimenticatoio come Boris Johnson e Nigel Farage.

C’è infine chi cerca di prenderla a ridere, non dimenticando che il British humor scandisce la giornata del londinese medio almeno quanto i rintocchi del Big Bang. Impossibile allora non riproporre la versione brexitiana di Gollum, rispolverato da Andy Serkis per tentare una divertente ibridazione con una Theresa May, ormai ossessionata dal difendere il suo piano d’uscita dall’Unione.

Ma quello che potrebbe diventare un vero e proprio must è il lavoro fatto da Doug Fishbone, artista da sempre attivissimo nel campo della performing art che negli ultimi tempi si è avvicinato alla stand-up comedy. Secondo lui l’emorragia di talenti causata dalla Brexit sarà un grave colpo per una città pulsante come Londra. Il futuro dell’arte contemporanea – ne è certo – sarà in Italia: a Milano…e in Puglia!
Come andrà a finire?

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