COMICS – Dylan Dog e il cinema, ovvero le Cose di questo mondo


Il cinema è sempre stato parte integrante dell’universo “dylaniano”, s’impone, però, di fare una distinzione fra quelle che sono citazioni usate come semplici spunti narrativi e quelle opere che, con la loro riscrittura del genere, hanno (probabilmente) influenzato l’autore contribuendo a creare il “mood” del personaggio delineandone la “sua visione del mondo”.

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Dylan Dog… e infine, povero illuso, ha creduto
di aver ucciso … IL MALE …
(Dylan Dog n. 51 – Il Male)
 

Il rapporto fra Dylan Dog e il cinema non nasce certo oggi con la trasposizione (?) cinematografica del personaggio di maggior successo del fumetto italiano. Benché, infatti, questa sia la prima volta che Dylan Dog arriva al cinema con il suo “nome e cognome” le atmosfere del fumetto erano ben più presenti negli altri due lavori tratti da opere di Tiziano Sclavi già portate sullo schermo da Soldi (Nero) e Soavi (Dellamore Dellamorte).

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Il cinema, tuttavia, è sempre stato, in maniera esplicita, parte integrante dell’universo “dylaniano”. Come tutti sanno, infatti, le fattezze del personaggio sono quelle dell’attore Rupert Everett, il suo assistente “è” Groucho Marx, la sua casa è al 7 di Craven Road (omaggiando Wes Craven). Perfino il campanello che invece di suonare urla è una citazione cinematografica, dal film Invito a cena con delitto.

Il rapporto con il cinema è stato, poi, per alcuni anni celebrato anche nelle “Dylan Dog Horror Fest” che si sono svolte a Milano negli anni di maggior successo del fumetto (quelli a cavallo fra ottanta e novanta) e che videro la partecipazione di personaggi del calibro di: Robert Englund, Wes Craven, Bruce Campbell, Bryan Yuzna e i nostri Dario Argento, Lucio Fulci e Lamberto Bava e le proiezioni dei loro film.

Naturalmente, anche dal punto di vista dei contenuti il cinema ha avuto una notevolissima influenza sulle storie raccontate nelle pagine del fumetto. Già il titolo del primo numero (L’Alba dei morti viventi) è un incrocio fra la traduzione letterale del titolo del secondo capitolo della saga romeriana (da noi uscito come Zombi e che Dylan va a vedere al cinema proprio in questo numero) e il titolo del primo (La notte dei morti viventi), anche se poi la trama non ha nulla a che vedere con Romero, semmai è più simile a Zombi 2 di Fulci.

A questo punto, però, s’impone di fare una distinzione fra quelle che sono citazioni usate come semplici spunti narrativi: e si tratta, naturalmente, di una lista lunghissima (ma che vedremo solo per sommi capi) visto che un prodotto seriale che va avanti da venticinque anni non può, ovviamente, “nutrirsi” solo di idee originali ma si trova spesso (diciamo così) a compiere affettuosi omaggi a storie “iniziate altrove”. Diverso è, invece, il caso di quelle opere che, con la loro riscrittura del genere, hanno (probabilmente) influenzato l’autore contribuendo a creare il “mood” del personaggio delineandone la “sua visione del mondo”.Il settimo sigillo

A proposito della lunga scia di citazioni cinematografiche che hanno fornito spunti narrativi al fumetto, conviene iniziare con quelle direttamente prese dai maggiori horror della storia del cinema, come Psyco che ha ispirato l’albo Dal profondo, La regina delle tenebre si ispira a L’esorcista, Quando la città dorme prende spunto da Nightmare, La casa infestata rende omaggio a Poltergeist; fino ad arrivare a titoli più recenti come Il silenzio degli innocenti (Il cervello di Killex), The Blair witch project (La strega di Brantford) e Il sesto senso (Uno strano cliente). Anche la serie televisiva Twin Peaks ha avuto il suo giusto riconoscimento in due albi: I segreti di Ramblyn e La belva delle caverne. Esistono poi film molto lontani dall’immaginario di Dylan Dog che, invece, hanno fornito spunti interessanti, come la profonda riflessione bergmaniana sulla morte (ma soprattutto sulla fede) del Settimo sigillo, diventa lo spunto per una storia estremamente “dylaniana” come Partita con la morte. Episodi piuttosto atipici per Dylan Dog sono, invece, Dopo Mezzanotte chiaramente ispirato a Fuori Orario di Scorsese, oppure, Accadde domani ispirato all’omonimo film di René Clair.

L'inquilino del terzo pianoPassando, poi, alle citazioni di maggior peso contenutistico che possiamo, quindi, definire influenze, si potrebbe senz’altro iniziare da L’inquilino del terzo piano di Polanski che offre lo spunto a Sclavi per riflettere sui temi della spersonalizzazione e della perdita d’identità, talmente cari all’autore da inserirli anche nel romanzo Nero. In Dylan Dog i riferimenti al film sono molto evidenti soprattutto nelle tre storie pubblicate su Comic Art e poi ristampate in volume singolo dal titolo Gli inquilini arcani (in particolare nella prima, dal titolo: Il fantasma del terzo piano), ma riferimenti più velati sono sparsi in vari numeri, ad esempio la medium che ogni tanto aiuta Dylan si chiama Madame Trelkovski (come il protagonista del film) oppure, in Lo specchio dell’anima, Dylan assume pian piano l’identità del defunto padrone del castello dove è costretto temporaneamente a vivere quale esecutore testamentario.

Ancora maggiore attenzione bisogna rivolgere verso il cinema di Carpenter, Romero e Cronenberg che più di altri si sono occupati “dell’altro da (dentro) se”. Tematica, questa, per “natura” centrale  nella poetica “dylaniata” che, fra le varie declinazioni possibili, sembra proprio aver adottato il “loro” punto di vista nella costruzione del suo background “sociopolitico”.

Numerosi sono gli esempi, ma in questa sede ci concentreremo su quattro numeri (due per Cronenberg e due per Carpenter; per Romero parla, come sempre, la presenza totemica degli zombi) che maggiormente sembrano condensare le influenze del loro cinema.

In Canale 666 si parte con quello che sembra una riproposizione dell’agghiacciante suicidio del senatore Budd Dwyer in diretta tv (avvenuto meno di un anno prima) per poi omaggiare Quinto potere (uno dei personaggi, un regista televisivo, si chiama Sydeny Lumeth), ma si arriva ben presto a Videodrome, con tanto di catena di suicidi tutti tesi, come nel film, a “mostrare come i nuovi media esigano una nuova carne, un nuovo corpo, un nuovo tipo di spettatore: che può nascere solo dalla soppressione del vecchio spettatore, quello svezzato e cresciuto nell’illusione che le immagini fossero sempre e comunque una riproduzione della realtà.” (G. Canova).Videodrome

In Ti ho  visto morire (scritto non da Sclavi ma da Giuseppe Ferrandino) si riprende quasi fedelmente la trama di La zona morta, il successivo film di Cronenberg (tratto da un romanzo di Stephen King), nel quale le variazioni (nel fumetto le visioni del protagonista rientrano in un piano per eliminare le persone verso cui nutre rancore) portano in superficie quello che è il sottotesto più “cronenberghiano” di un film considerato (vista la inusuale contrapposizione chiara di “buoni” e “cattivi”) poco aderente alla poetica dell’autore. Ancora una volta (come già in Videodrome) al centro del film c’è (il dubbio verso) la “sacralità della visione”, nel fumetto addirittura si va oltre smascherandone la falsità.

Per Carpenter si trovano citazioni in Il male che, sebbene costruito seguendo piuttosto fedelmente la sceneggiatura di L’Alieno di Jack Sholder (anch’esso, comunque, non nasconde il suo debito verso La Cosa carpenteriana), vi aggiunge chiari riferimenti ad un “male”, anzi AL male in senso assoluto che trasforma la “brava gente” in sanguinari assassini, ricordando molto le sequenze iniziali de Il Signore del male. Tra l’altro anche il finale, con il male tutt’altro che sconfitto lo richiama.

La storia contenuta in I vampiri, poi, con piccole differenze: al posto degli occhiali c’è una droga, altro non è che Essi vivono, conservando inalterata la sua lettura antisociale (il vero incubo è la società), anzi, se vogliamo, accentuandola visto che scegliendo di rappresentare ESSI come vampiri se ne accentua la natura parassitaria.

Dunque, anche per Dylan Dog valgono le considerazioni che Essi vivonoLorenzo Esposito fa nel suo “Carpenter Romero Cronenberg, discorso sulla cosa”: “Il terrore diviene così un viaggio ermeneutico, dove l’oggetto da indagare si scopre essere il soggetto stesso della visione, destinato a ricostruirsi un’identità in uno spazio instabile e in mutazione. L’horror non è la causa, ma l’effetto di qualcosa che è in noi. E il soggetto dell’horror è il soggetto in crisi della maggior parte della filosofia del Novecento. La paura diventa in questo modo il desiderio di ricomporre il disordine del reale, l’inesausto confronto con questioni etiche, politiche … cui corrispondono altrettanti processi … di sedimentazione degli immaginari collettivi”.

 

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