"Comunque mia", di Sabrina Paravicini

Il digitale come veicolo di disseccazione, astrazione e verità radicale dei sentimenti non è una novità e l'esordio come regista della Paravicini sposa questa scelta stilistica alla fattibilità del low-budget in un film fragile ma anche ricco di fragilità, che cerca di spiccare poeticamente il volo e ci riesce ogni tanto coi corpi più che con le parole

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Il digitale come veicolo di disseccazione, astrazione e verità radicale dei sentimenti non è una novità. E l'esordio come regista della Paravicini sposa questa scelta stilistica alla fattibilità del low-budget indipendente (40.000 euro, 24 giorni di riprese, 11 membri della troupe e 6 attori) in questo film fragile e ricco di fragilità, che cerca di spiccare poeticamente il volo e ci riesce ogni tanto più coi corpi che con le parole. Sandra (la stessa Paravicini) è una riservata 30enne in procinto di sposarsi col medico ortopedico 40enne Marco (Cesare Bocci, L'aria serena dell'Ovest, Condannato a nozze e Il principe di Homburg ma anche nell'esordio dell'attrice nel corto del '99 Maschi e femmine) e facendosi accompagnare a casa dal futuro cognato Alex (Francesco Martino, appena uscito dall'Accademia D'Arte Drammatica Silvio D'Amico e all'esordio davanti alla mdp dopo un'esperienza a teatro con Luca Ronconi), un 19enne carismatico giocatore di basket è coinvolta in un incidente stradale che la lascia illesa ma porta all'amputazione di una gamba del giovane. Inizia così per Sandra un calvario sentimentale che la porta a rimandare il matrimonio, trasformandola in una crocerossina dell'invalido che diventa sempre più pericolosamente affettuosa verso il "paziente" fino a giungere al tradimento, tutto mentre riemergono sconvolgenti fantasmi del passato legati alla sorella maggiore prematuramente scomparsa che i suoi hanno sempre tentato egoisticamente di far rivivere in lei, annullandola come figlia. La regia della Paravicini (infermiera nella serie tv "Un medico in famiglia" e al cinema già in Quello che le ragazze non dicono, Stefano Quantestorie, Facciamo paradiso) è meta-cinematografica, saggiamente misurata e si risolve più che altro in una direzione degli attori sulla base delle tensioni messe in campo dalla sua sceneggiatura se si esclude l'efficace idea registica della ripresa autoreferenziale (temporalmente collocabile alla fine della vicenda descritta) che apre il film e in frammenti impazziti interferisce angosciosamente (assieme ad una sequenza onirica riguardante la sorella maggiore) con la narrazione, frantumandola a sua volta, secondo uno stile chiaramente mutuato da stilemi propri del cortometraggio. Questa l'unica infrazione ad un uso inusuale del mezzo digitale, solitamente teatro di una foga sperimentale che conduce ad una violenza esplorativa che ha l'intento di sondarne le più estreme (ed estremistiche) possibilità espressive. La giovane attrice-regista piega, invece, la sua piccola Sony Pd 500 ad un uso "carico" di leggerezza, quasi pudico che ben s'allinea con l'impianto di kammerspiel scelto per questo dramma che frulla vorticosamente insieme gli handicap fisici e quelli del cuore. E se si avverte una certa rigidità d'impostazione nel metter in campo le emozioni in gioco, secondo le migliori tradizioni d'inesperienza del novello film-maker, si percepisce una riscattante e intimista sincerità di fondo che salva il risultato.

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Regia: Sabrina Paravicini


Interpreti: Sabrina Paravicini, Cesare Bocci, Francesco Martino, Jonis Bascir, Giulia Di Gianpasquale, Serena Spaziani


Distribuzione: Columbia Tristar Films Italia


Durata: 97'


Origine: Italia, 2004

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