“Credo nella gente che crede”. Daniele Luchetti presenta il suo Papa Bergoglio

Il regista ha presentato questa mattina il film a Roma con il produttore Pietro Valsecchi e i due protagonisti Rodrigo de la Serna e Sergio Hernández. In sala dal 3 dicembre in quasi 700 copie

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Avrà un’uscita massiccia. Chiamatemi Francesco, distribuito da Medusa e in sala dal prossimo 3 dicembre, sarà distribuito DA Medusa in quasi 700 copie. E oltre la versione cinematografica di 98 minuti ci saranno anche 4 puntate per la tv di 50 minuti l’una che verranno trasmesse tra circa un  anno e mezzo. Il film, costato circa 15 milioni di dollari, è già stato venduto in oltre 40 paesi. E martedì prossimo alla Sala Nervi ci sarà una proiezione straordinaria per circa 7000 bisognosi. Non si sa nulla invece della presenza di Papa Bergoglio.

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Daniele Luchetti, a due anni da Anni felici, ha presentato questa mattina al cinema Adriano di Roma il suo nuovo film assieme al produttore Pietro Valsecchi e ai due protagonisti Rodrigo de la Serna e Sergio Hernández che interpretano entrambi il Papa in due differenti fasi della sua vita. Chiamatemi Francesco segue il percorso di Jorge Bergoglio dagli anni giovanili (si parte con Buenos Aires nel 1960) fino a quando è diventato Pontefice. E una parte consistente è dedicata agli anni della dittatura argentina. E diventa subito inevitabile il raffronto del suo rapporto con il potere negli anni bui del suo paese, dal 1976 al 1983. “Nelle strade buie di Buenos Aires sono stato più volte avvicinato da persone col bavero alzato che mi dicevano che Bergoglio era implicato nella dittatura. Alcune di queste appartenevano anche alla Chiesa. Nel fare questo film però io ho accettato di stare dalla sua parte. Lui mi è sempre sembrata una persona chiara e quindi ho preferito affidarmi a testimonianze credibili”. E sono proprio queste che possono essere delle fonti affidabili o meno: “Quando Valsecchi mi ha proposto di girare questo film, siamo partiti in Argentina e ci siamo imbattuti in persone che lo conoscevano benissimo e altre che dicevano di conoscerlo benissimo anche se lo hanno visto solo quando erano dei bambini”. Queste comunque sono state il cuore di Chiamatemi Francesco: “La cronologia emotiva prevale su quella dei fatti. Le fonti sulla sua biografia si rintracciano tranquillamente in rete”.  La cosa difficile era trovare un filo narrativo: “Ho trovato la chiave quando Jorge Bergoglio mi è apparso come un uomo perennemente preoccupato”.

rodrigo de la serna in chiamatemi francescoPoi parla dei rischi di un’operazione del genere: “Non volevo trasformarlo in un santino. Quello era il pericolo maggiore. Per arrivare a questo dovevo avere rispetto della stora dell’Argentina e non avere quell’atteggiamento da turisti di quei cineasti che vanno a girare all’estero”. Per Luchetti comunque c’è stato un avvicinamento graduale: “Inizialmente questo era come uno dei tanti film che ti propongono. Poi è diventato necessario ed è stato un innamoramento”. Ci si chiede, a questo punto, se alla fine di questo lavoro è cambiato il suo rapporto con la fede: “Quando ho cominciato il film non ero credente. Ora credo nella gente che crede”.

Ad ispirare Luchetti non sono stati tanto gli altri film sui Papi: “Uno dei riferimenti  è stato The Queen di Frears proprio perché parlava di un personaggio vivente. Comunque a un certo punto ho smesso di leggere i giornali che parlavano di Bergoglio per non farmi condizionare durante le riprese.

Sergio Hernández in Chiamatemi FrancescoInterviene anche il produttore Pietro Valsecchi: “Vi sembra facile fare un film su Papa Francesco?” esordisce. Poi aggiunge: “Quando si fanno i film biografici su Ambrosoli e Borsellini, si può sempre parlare con i familiari. Qui invece non è stato possibile. Abbiamo provato a portare la sceneggiatura in Vaticano, ma nessuno l’ha letta. Però c’è stata una grande soddisfazione; Monsignor Karcher, dopo aver visto il film, è rimasto un po’ in silenzio, poi l’ha definito veritiero”.

Parlano poi i due protagonisti. Per Rodrigo de la Serna interpretare Papa Bergoglio “è stata una responsabilità enorme. Ho interpretato la sua figura nella fase della sua vita che va dai 25 ai 60 anni e una parte di questa è caratterizzata da un periodo tragico per la storia del mio paese. Ho avuto la fortuna di avere un copione di qualità e un regista come Daniele e alla fine penso di aver fatto un lavoro degno. Mi sono avvicinato a lui in modo fisico cercando però di tirare fuori anche la sua interiorità. A Sergio Hernández è stato proposto questo ruolo a fine ottobre 2014. “Ho sentito le sue omelie e visto i documentari su di lui. In qualche modo sono andato a convivere con lui andando in una specie di ‘ritiro’, pensando solo a questo personaggio e rifiutando altri lavori. E ancora ggi, a film finito, faccio fatica a uscire da lui. Questa è stata la sfida più grande della mia carriera”. 

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