Da American Horror Story – Cult a #Takeaknee: Trump come creatura dell’orrore

Una volta ancora, Il presidente degli Stati Uniti diventa un corpo mediatico che si mantiene vivo grazie alla paranoia collettiva e alla negazione sistematica della sua esistenza. Ginocchio a terra

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Inizia la settima stagione di American Horror Story, Cult, dal 5 settembre in onda in USA, da noi in arrivo dal 6 ottobre – e a quanto pare, porta con sé la creatura dell’orrore definitiva. Questa volta non si parla di nazisti, streghe, suore demoniache né serial killer, come nelle stagioni precedenti; sin dall’inizio, la prima puntata ci situa nel palcoscenico che poi finirà per rendere reale the ultimate nightmare: il giorno in cui Donald Trump viene eletto il quarantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti. Se le elezioni americane, nella sua più brutale realtà, sono soltanto un punto di partenza per sviluppare una storia di finzione – quella di Ally (Sara Paulson), che dopo l’8 novembre e accanto alla moglie Ivy (Alison Pill) e il loro figlio Oz, entra in paranoia e risveglia tutte le fobie che era riuscita a controllare, tra queste la coulrofobia (paura dei clown) – non cancella il fatto che ormai è diventato una costante, un filo conduttore nella costruzione dell’immaginario fiction del’ultimo anno: la presenza onnipotente della figura di Trump. In ogni formato, consistenza e dimensione, in carne e osa o in 2D, come un pagliaccio demoniaco, un modellino di un villain della Marvel con cui tutti vogliono giocare, come la nemesi – oppure la quintessenza – del Captain America passato all’Hydra.

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A meno di un anno del giorno in cui diventò Presidente degli Stati Uniti, sembra che il corpo cinematografico di Donald Trump vada nutrendosi dell’odio e del furore popolare per diventare ogni volta più grande, nello stile di un Hulk grottesco e arancione. Come se fosse un Lord Vermont americano – colui che non deve essere nominato, altrimenti appare – oppure una specie di Babau che minaccia di prendere la tua anima e che nessuno vorrebbe sotto il letto o nell’armadio ma che invece tutti vogliono sui loro schermi. Fino ad ora, almeno nella dimensione mediatica, Trump è diventato una creatura essenziale e corposa che si mantiene viva grazie alla paranoia collettiva e alla negazione sistematica che gli altri fanno della sua condizione: l’uomo più potente al mondo.

https://www.youtube.com/watch?v=-27J0sR9268 

Questo paradosso si rende evidente quando Ryan Murphy – creatore di American Horror Story – in un articolo sulla rivista Variety  nega (tre volte) Trump: “Le persone hanno un’idea sbagliata di ciò di cui parla la nuova stagione (…) Non è su Trump, non è su Clinton, è su qualcuno che riesce a capire ciò che sta veramente accadendo e usarlo per ascendere al potere (…) Il punto di partenza della serie è la notte delle elezioni e i personaggi hanno un’opinione molto forte riguardo a Trump e Clinton, ma non è su di loro”. Riguardo a una possibile reazione del presidente su Twitter, Murphy aggiunge: “Spero che lui abbia qualcosa più interessante da fare. So che è stato sempre fissato con l’industria dell’intrattenimento, l’unica cosa che posso fare è occuparmi della mia parte del lavoro. Rimarrei scioccato se lui lo facesse … ma anche se lui non lo facesse.” A questo punto, sembra un assunto di gravità: Trump è la calamita – oppure la calamità – che una volta messa nel centro della stanza, attira verso di sé tutto ciò che la circonda.

L’effetto Trump è arrivato anche alla 74 Mostra del Cinema di Venezia; pur non essendo stato avvistato in carne ed ossa al Lido, è stato nominato – oppure negato – tante volte che si è reso un corpo presente. Come se si trattasse di una convenzione sul futuro politico e sociale degli Stati Uniti, alle conferenze stampa il discorso quasi sempre finiva per arrivare alla figura del presidente e la sua ipotetica influenza in ogni storia, personaggio e inquadratura. Così è capitato nell’incontro con Matt Damon a proposito di Downsizing, dopo la anteprima di Suburbicon di George Clooney – dove l’attore è finito per urlare: “Questo non è un film sul Trump!” -, nella conferenza stampa di mother! e di Three billboards outside Ebbing, Missouri, con Martin McDonagh e Frances McDormand che parlavano di razzismo e discriminazione negli Stati Uniti, sempre con la presenza implicita della “persona non grata” del momento. Pure Guillermo del Toro ha dovuto riferirsi a Donald, nonostante il suo film The Shape of Water sia ambientato nella Guerra Fredda e abbia come protagonista una creatura umano/anfibia venuta dall’Amazzonia. A quanto pare, anche nella dimensione cinematografica, tutto è colpa di Trump.

Il mondo s’inginocchia davanti a questo essere ibrido, a volte reale, a volte quasi immaginario, sia per metterlo al centro di ogni discorso e anche come segno di ripudio pubblico; infatti, la campagna mediatica #TakeAKnee (mettetevi in ginocchio) nata negli Stati Uniti come gesto di contestazione contro il razzismo e in modo particolare contro le uccisioni di afroamericani per mano di poliziotti bianchi, è inevitabilmente divenuta una protesta di sportivi, star e artisti americani (Pharrell, Stevie Wonder, Dave Matthews, Eddie Vedder, John Legend…) rivolta alla figura di Trump.

https://youtu.be/WXqfMRkuCNg 

Nel frattempo il “vero” Donald Trump rimane lì, sospeso in una dimensione che pare soltanto sua, e continua a respirare. Mentre il mondo nutre la fame del mostro, la creatura si dissolve in tutte queste realtà parallele e diviene un corpo frammentato che si smonta e poi si ricostruisce a volontà, proprio come il Cinema. Alla fine, tutti vogliono un pezzo suo, anche se nessuno sembra di accettare e riconoscere questo vizio, questa necessità. Se fino ad adesso tutto è stato già detto, qual è lo step successivo del presidente degli Stati Uniti? Sta scomparendo tra il suo corpo mediatico oppure si rende più forte? Forse ci troviamo di fronte alla distopia definitiva, quella dove il mondo immaginato e costruito per anni dai media diventa reale, avendo nel suo centro la figura di Trump come unica via possibile: un Frankenstein che non è umano anche se è fatto di pezzi di umanità, un cattivo da cui tutti sfuggono ma che nessuno teme più, perché si rendono conto che non è possibile sfidare una caricatura. Una creatura che è in se stessa la rappresentazione del corpo postmoderno: un ente fatto di paradosso, di ambiguità e di realtà virtuale, che se nominiamo più di tre volte diventa pericolosamente reale.

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