Dario Argento racconta Suspiria al Bif&st

Introdotto dalla visione del cult del 1977 il maestro del brivido ha ripercorso a Bari l’eclettismo con cui ha ridefinito il noir, il thriller, l’horror, ma anche l’onirico e il fantastico

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La storia del cinema italiano continua ad essere protagonista delle masterclass d’autore del Bif&st2017. Introdotto dalla visione di uno dei suoi capolavori, Suspiria, cult d’ispirazione per leve autoriali (tanto ha dichiarato Nicolas Winding Refn per The Neon Demon) il maestro del brivido Dario Argento ha ripercorso l’eclettismo con cui ha ridefinito il noir, il thriller, l’horror, ma anche l’onirico e il fantastico.
Al regista è stato chiesto se Suspiria, a distanza di quarant’anni, abbia rappresentato un trampolino o uno spartiacque.
“È stata certo un’esperienza. A parte i risultati, il film ebbe una risonanza mondiale, infatti è il mio film più famoso all’estero, solo in Italia non ha mai scalzato Profondo Rosso, forse perché rispecchia meglio certi vizi italiani, mentre Suspiria è invenzione. Sin dall’inizio l’ho concepito come un crescendo, un parossismo, che toccasse la pazzia. Questa fu la sfida che mi sono dato e che credo di aver vinto”.

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Figlio d’arte, padre produttore e madre fotografa, confessa di aver subito sin da bambino il fascino dei set di modelle allestiti nello studio di sua madre, a cui deve senz’altro il peso che ha sempre conferito ai personaggi femminili, ma soprattutto la maestria con cui disegnare giochi di luci e ombre su un corpo o un volto. Cresciuto in una casa frequentata da attori e addetti ai lavori, il suo debutto registico, L’uccello dalle piume di cristallo nel 1970, continua ad apparirgli quasi improvviso, a partire dagli esordi da giornalista cinematografico, passando per l’importante svolta di co- sceneggiatore per C’era una volta il West di Sergio Leone, col quale sente di condividere la parabola tardiva del riconoscimento artistico.
Mentre sulle origini del suo rapporto col sentimento della paura, rivela: “Molte sono state le influenze, la prima quando ero ancora un bambino e in vacanza sulle dolomiti, vidi ad una retrospettiva cinematografica Il fantasma dell’opera di Lubin. Mi impressionò, mi rivelò un mondo di mostri che ignoravo, bizzarri, morbosi, cattivi. Col tempo ho capito che questo genere suscitava in me emozioni particolari”.

Come in un flusso di coscienza, il Maestro, che non a caso cita Freud, Bergman e Hitchcock tra i suoi imprescindibili numi tutelari, passa al vaglio quanto nel corso degli anni ha contraddistinto la sua carriera, dall’elaborazione dei titoli, veri e propri marchi di fabbrica, lapidari e taglienti, alle celebri colonne sonore; dal rapporto con gli attori, fatto di azzardi (la giovanissima Jessica Harper e la leggendaria Clara Calamai) e conflitti, sino al grande impegno di produttore: la cosiddetta Dario Argento Factory. “Si tratta prima di tutto di grandi amici che ho aiutato a debuttare. Giovani che meritavano di esordire e che è stato bello vedere crescere privi di costrizioni, liberi di mettere in scena personalità e sogni. Penso al mio amico fraterno George Romero, a Michele soavi, mago degli effetti speciali, non da ultimo Lamberto Bava, senza escludere, tra alti e bassi, Lucio Fulci”.

Argento, che ha dichiarato di guardare con un certo sospetto al digitale e distrattamente le serie Tv di genere crime e horror oggi imperanti (concessione fatta per The walking dead) ha anticipato indiscrezioni sulla produzione Cattleya della serie Tv in 12 episodi Suspiria (trasposizione dell’opera letteraria di De Quincey) che lo vede coinvolto insieme a un team d’autori americani. Mentre nulla di ancora certo s’è potuto dire sulla controversa uscita del libro “Universo Argento”, raccolta critica a lui dedicata e sul work in progress del suo ultimo progetto cinematografico, affidato anche al crowdfunding: “Dopo la strada senza ritorno della commedia imboccata dal cinema italiano – i produttori volevano che la gente ridesse, influenzati anche dalla Tv più stupida – è stato difficile reperire finanziamenti, per questo ci siamo rivolti all’estero”.
Ma alla fine, sui saluti in sala, concorda e confida che un seme, anzi una ‘larva’ di speranza, possa tornare a crescere.

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