Deadpool, di Tim Miller

Il budget è inferiore rispetto alle megaproduzioni sugli X Men e la scrittura si concentra sui dialoghi e sulla comicità al vetriolo del protagonista, che sa di essere un superoe

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Se è vero che gran parte dei successi commerciali dell’ultima decade cinematografica appartengono alla famiglia nutritissima di remake, reboot e sequel, un capitolo a parte lo meritano le produzioni sui supereroi e in particolar modo dei Marvel Studios.

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Qui l’ultima novità dell’anno si chiama Deadpool, personaggio poco conosciuto in Italia, politicamente scorretto e nato nel 1991 dalla matita di Fabian Nicieza e Rob Liefeld. In America è già cult con una R di divieto ai minori che non ha impedito al film di incassare 135 milioni di dollari nei primi tre giorni di programmazione. È un po’ il cugino indipendente di Wolverine e compagni. Il budget è inferiore rispetto alle solite megaproduzioni sugli X Men e la scrittura si concentra moltissimo sui dialoghi e sulla comicità al vetriolo del protagonista, che spesso pensa a voce alta ed è metacinematograficamente consapevole di essere un superoe. Produce e interpreta Ryan Reynolds, che carica sul proprio personaggio tutta l’arroganza e il cinismo postmoderno di un immaginario da X generation cresciuto tra comics, tv e romanticismo pornografico. Molto anni ’90 in effetti. E quindi di conseguenza ancora analogico ma già adattissimo all’orizzontalità dei millenials. Come fosse un personaggio alla Kevin Smith – e i riferimenti all’Impero di Star Wars anche qui costruiscono una gag “sentimentale” – Wade Wilson/Deadpool rompe da subito la “quarta parete” guardando la macchina da presa e parlando agli spettatori. Si entra in un meccanismo autoreferenziale fatto apposta per i fan più accaniti e per il giovane pubblico smanioso di dissacrare le convenzioni e abbandonarsi al “gioco”. E come un gioco semiserio fa infatti preso questo Deadpool, con battute “cattive” su donne (“sono confuso… è più sessista se ti colpisco o se non lo faccio?”), non vedenti, universo dei superoi e compagnia bella. Tutto è esplicitato fino al parossismo nel suo meccanismo anticonformista e antinaturalista. Siamo agli antipodi rispetto alla serietà autoriale del cinema di Nolan, ma anche – purtroppo – molto lontani dai sogni cinematografici teneri e appassionati del magnifico Sam Raimi di Spider-Man.

Alla base, come in Smith ma con molta meno passione, c’è la sottile disperazione di una generazione senza padri costruita dall’immaginario e dal desiderio già quasi solamente virtuale, in cui è la paura della morte (e della malattia) il vero mostro da combattere. Da questo punto di vista Deadpool è davvero un eroe tanto cupo quanto di pura superficie. Dietro il (presunto) anticonformismo l’immagine arranca. Stroncata da una verbosità sfiancante e onanistica, reiterata, che non cambia mai registro e gira sempre intorno ai sentimenti, senza raggiungere il cuore. È un modo di raccontare che sa fare una sola cosa e basta. Dobbiamo esserne contenti?

 

Titolo originale: id.

Regia: Tim Miller

Interpreti: Ryan Reynolds, Morena Baccarin, Ed Skrein, T.J. Miller, Gina Carano, Brianna Hildebrand, Rachel Sheen

Distribuzione: 20th Century Fox

Durata: 107’

Origine: Usa 2015

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