"Django Unchained", la versione di Quentin


Tarantino mette la fondina allo schiavo Django ed è subito leggenda a cavallo nella storia. Ma quale storia? tra licenze poetiche e accuse di rivisionismo improprio, il regista risponde a colpi di citazioni

 

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Da qualche parte nel profondo sud degli Stati Uniti storia e leggenda si intrecciano tessendo la trama di una cronaca romanzata. Ruggiscono gli indignati: la schiavitù dei neri d’America non è tema da spaghetti western. Il bianco non fu il colore della redenzione. Mai un nero passò a cavallo inseguendo la sua libertà. Lungo le rive del Mississippi il vento muoveva i corpi degli impiccati confondendoli col buio della notte. Le catene mordevano caviglie sottili macchiando col sangue i campi di cotone. Ma qualcuno credette ad un pirata, ad un ladro di cavalli, un delinquente di nome John Murrell che voleva portare alla rivolta gli schiavi. Verità o menzogna, Murrell e il suo clan divennero leggenda entrando al galoppo nell’immaginario collettivo. Forse proprio questo personaggio ha ispirato Tarantino nel disegnare il dottor King Schultz (premio Oscar Christoph Waltz) il cacciatore di taglie dell’amor cortese che libera lo schiavo Django (Jamie Foxx) cambiando il suo destino. Dopo Bastardi senza Gloria, Tarantino torna sui libri di storia che riscrive attraverso un processo creativo in cui si mescolano citazioni sonore (le musiche originali di Luis Bacalov per il Django di Sergio Corbucci e di Franco Micalizzi per Lo chiamavano Trinità) e ritmo sincopato, dove la firma autoriale lascia respirare la violenza attraverso l’ironia. Siamo nel 1858 i fratelli Speck e i loro schiavi incontrano lungo il cammino un dentista squinternato, dice di chiamarsi King Schultz e di essere interessato all’acquisto di uno schiavo conosciuto col nome Django. Gli spietati mercenari si beffano di lui e nell’eludere la richiesta, uno di loro perde la vita sotto i colpi dell’arma da fuoco di Schulz che intima al sopravvissuto di firmare l’atto di vendita. Django stordito segue il suo liberatore che lo ingaggia per riconoscere i fratelli Brittle, dei balordi torturatori a lui noti. Durante il lungo viaggio la strana coppia porta a compimento il sodalizio, tra di loro nasce un’amicizia che li condurrà faccia a faccia con lo spietato latifondista Calvin Candie (Leonardo Di Caprio). Nella sua Candyland il bon vivre lo divide tra il collezionismo di lottatori mandingo e i campi di cotone che tengono prigioniera la bella Broomhilda Von Shaft (Kerry Washington) l’amore segreto di Django. Su un canovaccio d’improvvisazione i due compagni subiscono un’ulteriore fuoripista sfoderando nuovi personaggi da interpretare. La messa in scena tentenna e a casa del diavolo Candie, il capo della servitù Sthepen (Samuel L. Jackson) smaschera le loro intenzioni. Crudeltà ed espiazione si rincorrono per 165 minuti esorcizzate dall’humor di Tarantino che cuce storti i cappucci del Ku Klux Klan facendoli muovere come marionette. Si compiace con il cameo di Franco Nero, il Django di Corbucci, e intreccia nella trama le sue note di merito riferendosi al film Mandigo di Richerd Fleischer (citato tra i preferiti nel libro Quentin Tarantino: Interviews) per realizzare i combattimenti. Abbandonandosi all’amore per il genere western, non si lascia intimidire dalle accuse di revisionismo improprio, e racconta la schiavitù da un’altra prospettiva che non ha pretese se non quella della coerenza artistica. Tarantino maneggia la sceneggiatura colorandola con licenze poetiche in bilico tra realtà e finzione, senza castrarsi procede per iperboli visive che incorniciano il profilo dei personaggi sottolineandone l’intima consapevolezza. Ma il servirsi della storia per raccontarne un’altra artisticamente tendente alla libertà, fa storce il naso. Il prisma bianco attraversa la storia nera lasciando al pubblico la capacità di giudizio.

 

Titolo originale: Django Unchained

Lingua originale: Inglese

Paese di produzione: USA

Anno: 2012

Regia: Quentin Tarantino

Interpreti: Jamie Foxx, Christoph Waltz, Leonardo Di Caprio, Kerry Washington, Samuel L. Jackson

Durata: 165'

 

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