Dobbiamo parlare, di Sergio Rubini

Prosegue il ciclo di visitazioni di Rubini all’interno di una forma di cinema ZTL, da attico al centro dell’urbe, da raccordo anulare del cinema italiano. Isabella Ragonese riesce a smarcarsi

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Tradimenti, sotterfugi, segreti e maldicenze tra due coppie di vecchi amici che si trovano a svelarsi ogni cosa lungo una notte interminabile di litigi e confessioni isteriche e con il cuore (o la calcolatrice…) in mano a casa di Vanni, scrittore, e Linda, sua ghost-writer.

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La maniera più efficace per attraversare il palcoscenico trasportato sul set dell’ultima regia di Sergio Rubini è quella di non staccare un attimo gli occhi e l’attenzione dalla traiettoria disegnata dal personaggio di Isabella Ragonese. Anche proprio spazialmente, fisicamente, e d’altra parte il film sembra suggerirlo sin dall’incipit: se la scena, il quadro, è fin troppo composto dalla triangolazione da teatro borghese (troppi i nomi che potrebbero venire in mente, e molti sono i soliti) tra lo scrittore non più così di successo interpretato dal regista e la coppia altolocata di Bentivoglio chirurgo coatto pariolino con Maria Pia Calzone moglie pronta a tutto per tenersi stretta la bella vita, è l’imprevedibilità sommessa ad un passo da esplodere di Linda/Ragonese il segno che “sfonda” letteralmente le quattro mura della scenografia ossessivamente da camera dell’impianto.
Da questo punto di vista, Rubini regala all’attrice un ritratto formidabile e uno sguardo con ogni evidenza ricolmo di affetto e immedesimazione, a cui l’interprete risponde con una grande attenzione ai dettagli di questo suo personaggio, gesti minimi, espressioni, frasi smozzicate prima della crisi urlata: basta guardare le singole scelte di regia per accorgersi come il regista utilizzi gli spostamenti di Linda all’interno dell’appartamento come continue vie di fuga dalla struttura del confronto verbale coercitivo tra i suoi protagonisti, spesso lasciati sullo sfondo, nella camera accanto, mentre la ragazza ha bisogno di isolarsi.

isabella ragonese, fabrizio bentivoglio e sergio rubini in dobbiamo parlareLa metafora della terrazza e il sorprendente quanto dolente colpo di coda, guizzo a quel punto inaspettato del film e ancora una volta dedicato principalmente alla figura di Isabella Ragonese, confermano la caratterizzazione cruciale del personaggio all’interno dell’impalcatura del testo.

Il quale trova ovviamente incarnazioni altrettanto puntuali negli altri performer in cartellone, seppur tutti invece maggiormente vittime di una struttura figlia di conflitti soprattutto letterari (uno potrebbe anche vederlo come uno di quei film in cui gli scrittori vengono visitati dai loro personaggi apparsi a chiedere il conto di certe umane disgrazie – in questo è un’opera non lontana da alcuni titoli di Alessandro Genovesi, per dire), che nonostante gli sforzi grotteschi e scomposti di Fabrizio Bentivoglio fatica a smarcarsi dalle dinamiche di una opposizione/riappacificazione ciclica e geometrica, un po’ troppo da laboratorio (o da acquario dei pesci rossi, per restare ad un altro dei simboli cari al film).

A conti fatti, Dobbiamo parlare sembra proseguire, con i recenti Colpo d’occhio e Mi rifaccio vivo, un piccolo ciclo di visitazioni di Sergio Rubini all’interno di una forma di cinema più ZTL, da attico al centro dell’urbe, vicino alle logiche del raccordo anulare di certo cinema italiano dei nostri tempi: e dunque, conferma i difetti e le reticenze dei due lavori sopracitati, seppure la doppia anima del grande schermo e del teatro gli doni una stringata efficacia in più, nonostante ancora lontana dalla magia meridionalista dei suoi risultati migliori.

Regia: Sergio Rubini
Interpreti: Sergio Rubini, Isabella Ragonese, Fabrizio Bentivoglio, Maria Pia Calzone
Distribuzione: Cinema
Durata: 98′
Origine: Italia 2015

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