Doctor Sleep, di Mike Flanagan

Doctor Sleep ha il difficile compito di restare fedele sia a Stephen King che a Stanley Kubrick. Tuttavia, Mike Flanagan non si limita alla sintesi ma riesce anche a fare un film tutto suo

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Mike Flanagan merita sicuramente un credito di indulgenza per l’ingrato compito che ha deciso di intraprendere con Doctor Sleep. Il regista e sceneggiatore ha gestito il sequel di The Shining con il peso di dover restare fedele sia a Stephen King che a Stanley Kubrick. Le grandi differenze tra il romanzo originale e il suo adattamento lo costringevano ad un complicato lavoro di sintesi. La benedizione dello scrittore era arrivata dopo la celebrata serie The Haunting of Hill House, che Mike Flanagan ha confezionato per Netflix. Tuttavia, l’investitura era sufficiente per stare in equilibrio tra i fedeli del film e i fedeli del libro?

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Le scelte preliminari erano già piene di difficoltà: abbracciare il finale del romanzo in cui l’Overlook Hotel esplodeva o quello del film in cui l’edificio e i suoi fantasmi restavano vivi e affamati? Bisognava scegliere di lasciare Dick Hallorann morto nei suoi corridoi come nella visione kubrickiana? Oppure, farlo tornare in vita in qualche modo per restituirgli la centralità che conservava tra le pagine di Doctor Sleep? Il copione di Mike Flanagan è abile a creare uno spazio mentale che spesso sostituisce la realtà fisica dell’altra versione. Così, il suo amico cuoco è stato effettivamente ucciso ma Danny può parlarci come se fosse vivo perché sente la sua presenza.

Stephen King aveva scritto la sua vita adulta con una trama chiaramente ispirata a Something Wicked This Way Comes di Ray Bradbury. La sua nuova nemesi era una carovana di creature millenarie che si cibavano di chi possedeva la luccicanza. Ormai, gli spiriti maligni dell’Overlook erano chiusi da tempo in delle scatole sigillate nei recessi della sua mente. La scelta aveva lasciato un po’ di delusione in chi voleva tornare dentro all’albergo. Il film di Mike Flanagan accontenta questo desiderio sin dalla sequenza dell’incubo iniziale del ragazzino sopravvissuto. La steadycam ce lo fa vedere di nuovo mentre percorre i corridoi con il triciclo e arriva davanti alla stanza 237…

Eppure, chiunque pensasse ad una messa in scena costruita a specchio sulle atmosfere di Stanley Kubrick si troverebbe in errore. Doctor Sleep replica integralmente alcune scene del suo predecessore. Ad esempio, quella in cui la macchina di Danny e della sua apprendista Aubra si avvicinano all’edificio abbandonato in mezzo alla neve. La ripresa con l’elicottero dei costoni della montagna e le poderose note del Dies Irae in sottofondo. Il colloquio tra il protagonista e il direttore dell’ospizio è identico a quello tra suo padre e il responsabile dell’Overlook. La presenza di citazioni e di omaggi non rinnega la volontà di Mike Flanagan di fare comunque il suo film.

Il regista è riuscito a trasmettere una sua giusta convinzione: l’albergo fa parte dell’immaginario collettivo, è un luogo di paura cinematografica ancestrale. Chissà se l’ispirazione gli è arrivata dalla lettura che ne aveva fatto Steven Spielberg in Ready Player One (2018)? Tuttavia, il ritorno di Danny Torrance tra le sue rovine è anche quello di tutti gli spettatori. Questo rende la sua nuova riproduzione qualcosa di più che una semplice esca per il pubblico. Forse, rivedere quei luoghi fa più paura a chi sta davanti allo schermo che a chi ci sta dentro e ha imparato a sopravviverci.

Mike Flanagan merita una menzione anche perché è uno dei pochi registi che rinuncia alle scorciatoie dell’horror. Gli jumpscares si contano sulle dita di una mano e quasi mai sono legati ad un effetto sonoro o ad una creazione digitale. Il regista rifiuta persino il performance capture quando deve resuscitare la fisionomia dei personaggi del passato. La necessità di mostrare la famiglia Torrance com’era viene risolta con dei sosia senza che il risultato suoni pacchiano. Forse, i suoi tentativi di replicare la simmetria delle inquadrature di Stanley Kubrick è un po’ goffa. Tuttavia, l’impaccio viene mascherato dal recupero della tipica empatia di Stephen King.

All’inizio, la banda dei rinnegati che va a caccia di giovani innocenti a cui rubare la luccicanza è quasi simpatica. La banda mostra tutta la sua natura inumana solo quando si ciba di un ragazzino impotente. La scena è necessaria a livello narrativo perché la crudeltà di soffiargli via l’anima risveglia il potere di Aubra. Inoltre, la soggettiva della vittima mentre i suoi aguzzini la torturano serve a fissare un legame indissolubile con lo spettatore. I personaggi positivi del film si saldano sempre attraverso la straziante condivisione di un dolore. Il titolo stesso deriva dal modo in cui l’eroe viene chiamato dai pazienti dell’ospizio in cui lavora. Il suo potere li aiuta a morire in un modo più dolce con il presentimento della presenza dei loro cari estinti.

La storia dell’adolescente è il classico conflitto di convivenza con un potere ingestibile e pericoloso. Rebecca Ferguson incarna in modo efficace la natura sensuale ed implacabile del male primordiale. Il dettaglio del suo cilindro e il suo aspetto gitano dichiarano una volta di più la filiazione con il bradburyano Mr. Dark. Tuttavia, Doctor Sleep è soprattutto la storia di Danny Torrance e dei suoi fantasmi personali. Mike Flanagan non dimentica mai di sottolineare il suo amore per la madre e il suo rimpianto per non aver mai conosciuto il lato luminoso di suo padre. Dopo tanti anni, il suo desiderio di salvarlo dalle fauci dell’Overlook non si è ancora sopito.

Titolo originale: Doctor Sleep

Regia: Mike Flanagan

Interpreti: Ewan McGregor, Rebecca Ferguson, Kyliegh Curran, Carl Lumbly, Cliff Curtis
Distribuzione: Warner Bros.

Durata: 153’
Origine: USA, 2019

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4 (2 voti)
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