DOCUMENTARIO – La realtà animata

Il documentario animato si definisce essenzialmente per la sua tecnica, ma una tecnica non definisce necessariamente una forma. Lavorare sull’animazione nel cinema del reale significa in realtà esplorare le forme attraverso cui il cinema lavora l’immaginazione, sia per trasformare il mondo, sia per evocarne la perdita, sia per dare forma a sogni, incubi e desideri

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L’immaginazione è reale, poiché esiste, in noi e nelle azioni che noi compiamo. È una facoltà che è parte integrante di ciò che possiamo chiamare reale. Documentare il processo di creazione dell’immagine come fantasia e immaginazione, tracciarne le possibilità, muoversi tra la registrazione meccanica del mondo e la sua reinvenzione immaginaria, attraverso i mezzi del cinema, è in fondo anch’esso compito del documentario (e in senso più ampio, di tutto il cinema). Lo aveva capito perfettamente il giovane Rossellini, che con Fantasia sottomarina, immaginava, filmando i pesci di un acquario,  una avventurosa storia d’amore tra due pesciolini solitari. Quello scenario affascinante ma indubbiamente non straordinario diventava allora traccia di una fantasia, di una favola che investe e trasforma le immagini, rivelandone la potenza.

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Quella dell’Animated Documentary è una tendenza sempre più diffusa nel panorama cinematografico contemporaneo. Sorta di genere a sé nel cinema del reale, il documentario animato si definisce essenzialmente per la sua tecnica, quella di mescolare riprese dal vero ad animazioni di tipo diverso, (dal disegno animato tradizionale al CGI, passando per l’animazione a passo uno). Ma una tecnica non definisce necessariamente una forma. Lavorare sull’animazione nel cinema del reale significa in realtà esplorare le forme attraverso cui il cinema lavora l’immaginazione, sia per trasformare il mondo, sia per evocarne la perdita, sia per dare forma a sogni, incubi e desideri. Valzer con Bashir di Ari Folman lavorava sull’animazione come unica forma per rendere conto dell’allucinazione della guerra; un film come The Dark Side of The Sun di Carlo Shalom Hintermann trasformava in saga animata il mondo di favole notturne dei bambini affetti da una eccessiva sensibilità alla luce e che possono solo vivere di notte; da un altro punto di vista, il Beowulf di Zemeckis, o film come Waking Life e Un oscuro scrutare di Linklater operano un eguale e contrario movimento: quello di un di più di realtà, che non significa iperrealismo, simulazione del supposto “reale”, ma capacità di fare dei corpi e del mondo lo spazio di una nuova immaginazione (che sia favola o incubo non importa).

E’ per questo che un film come Kiss the Water di Eric Steel appartiene pienamente a questa forma. Dopo The Bridge – Il ponte dei suicidi, in cui Steel indaga (in una messa in immagine tradizionale) la vita di uomini che si sono gettato dal Golden Gate di San Francisco, uomini il cui ultimo gesto è stato filmato dallo stesso Steel in un controverso corto circuito tra l’immagine di una morte e il racconto di una vita, in Kiss The Water il regista americano parte ancora una volta da una scomparsa, quella di Megan Boyd, una donna solitaria che ha passato tutta la vita a costruire delle mosche da pesca con un talento artistico tale da farla diventare famosissima. Quella di Megan è stata una vita solitaria, misteriosa, eppure a contatto con i fiumi, l’acqua, la vita che vi scorre sotto. Ed ecco che allora il film esplora un’altra dimensione. Megan non c’è più, la sua restituzione è impossibile (come era impossibile anche per i suicidi di The Bridge): ciò che il cinema può fare, la sua potenza, intesa anche come possibilità, è allora immaginare il suo mondo possibile. Se parte del film riprende i luoghi di Megan, le persone che hanno fatto parte della sua vita, un’altra parte si svolge invece sott’acqua, in un fondo del fiume, dove prende vita una favola poetica, animata dai disegni di Em Cooper. Dove le mosche da pesca diventano la porta d’ingresso di un mondo sconosciuto e fantastico, dove la vita solitaria di Megan Boyd trova restituzione e rifugio.

L’acqua è un elemento cinematico prima ancora che cinematografico. A differenza degli altri elementi, la sua fascinazione (lo sapeva bene il Vigo de L’Atalante) risiede nella capacità di visione. Se la superficie dell’acqua è uno specchio distorto – lo specchio che inghiotte Narciso ingannato dal suo stesso riflesso – sotto la superficie, l’acqua di un fiume o di un mare è lo spazio dove si libera l’immaginazione e dove prende forma un altro modo di intendere il cinema del reale.

 

TRAILER DI KISS THE WATER

 

 

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