DOSSIER "THE HURT LOCKER" – Ordigno I. La Macchina Incendiata

jeremy renner the hurt locker kathryn bigelow
Funziona come una miniserie concentrata in due ore, The Hurt Locker. 7-8 episodi autoconclusivi. In ogni avventura, un nuovo ordigno da disinnescare: a volte il nostro artificiere ha successo, altre volte si finisce col botto. La Bigelow non accetta YouTube come linguaggio, alla stregua di De Palma, ma lo intende e lo ingloba come struttura. Mentre i soldati si vanno nascondendo dalle traiettorie delle handycam come fossero proiettili di mitra, l'artificiere spogliandosi delle protezioni si espone totalmente all'obiettivo della Macchina (da presa) – Morte

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E' già pronto per YouTube, The Hurt Locker. In una delle sequenze più lucide di Henry – Pioggia di Sangue di John McNaughton, il serial killer interpretato da Michael Rooker non fa che rimandare indietro a velocità da moviola l'istante del suo video amatoriale in cui l'amico strappa i vestiti di dosso ad una donna che sta per violentare. Ancora, e ancora, e ancora, seduto inerme sul divano, col dito pigiato sul pulsante del telecomando del videoregistratore. Da qui, alle quasi 900 bombe disinnescate dal personaggio di Jeremy Renner, il passaggio è breve. Funziona come una miniserie concentrata in due ore, The Hurt Locker. 7-8 episodi autoconclusivi. In ogni avventura, un nuovo ordigno da disinnescare: a volte il nostro artificiere ha successo, altre volte si finisce col botto. In mezzo, il timido, accennato sub-plot della presunta morte del piccolo Beckham. Queste microstrutture, queste particelle indipendenti di cui è formato il film, costituiscono l'elemento che più lo accomuna all'altro trattato sul videoterrorismo contemporaneo post-11/9 come unica forma di racconto ancora possibile, che è Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan (basato sulla struttura reiterata in cui l'artificiere Batman puntualmente disinnesca il meccanismo a trabocchetto orchestrato dal bombarolo Joker…). D'altra parte la Bigelow aveva già fatto i conti con la 'forma breve' ma digitalmente espansa del magnifico Project Zero: il passo in avanti fondamentale compiuto da The Hurt Locker, anche in confronto ad un film solo in apparenza simile com'era il Redacted di De Palma, non è allora quello di accettare YouTube come linguaggio (al contrario, formalmente la Bigelow, fatti salvi gli oramai immancabili zoom repentini, sbalzi e traballii, fa una regia ancorata ad un'idea verité di reportage neanche troppo sorprendente), quanto quello di inglobarlo e intenderlo come struttura.
Da questo punto di vista, la sequenza qui in alto è forse la più eloquente dell'intera pellicola. Mentre William/Renner ispeziona con ostinata concentrazione il cadavere di un'automobile esplosa di fronte alla sede dell'ONU, i suoi compari di truppa sono presi di mira dal fuoco di fila delle videocamere di cui la popolazione araba si rivela armata, e dalle cui traiettorie ci si deve 'coprire' come fossero proiettili di mitra. La carcassa del mezzo nasconde un'insidia ancora peggiore: “non ho mai visto così tanto esplosivo tutto insieme in vita mia”. E allora via le protezioni, via il casco, subito dopo via anche la cuffia per le comunicazioni con i compagni: “se proprio devo morire, morirò comodo.” Mentre i soldati si vanno nascondendo dai display delle handycam per paura di finire pubblicati sventrati in rete, l'artificiere spogliandosi si espone totalmente all'obiettivo della Macchina (da presa) – Morte. William estrae il detonatore dalle viscere della lamiera, lo butta via, riemerge alla luce. Son passati dieci minuti. Fine dell'episodio. Condividi / Guarda di nuovo…

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