E.T. – L’extra-terrestre, di Steven Spielberg

Spielberg libera lo sguardo infantile che fino a quel momento aveva vissuto con imbarazzo e salda definitivamente il suo rapporto di empatia con il pubblico. Stasera, ore 21.15, Sky Collection

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E.T. – The Extra-Terrestrial occupa il ventiquattresimo posto nella classifica dei cento titoli all-time dell’American Film Institute. Un riconoscimento così autorevole lascia pochi dubbi sulla dimensione dell’aura che circonda l’opera più acclamata di Steven Spielberg. La sua posizione è diventata incontestabile non solo per un incasso aggiornato all’inflazione di un miliardo e duecentocinquanta milioni di dollari. Infatti, il film si è portato dietro anche una consistente bibliografia di saggi e di analisi che ne hanno esaustivamente celebrato ogni dettaglio tecnico. Il lavoro di Carlo Rambaldi sulla fisionomia del protagonista alieno e quello di John Williams sulle musiche sono solo i casi più citati di un consenso diffuso. Tuttavia, non manca uno sparuto manipolo di detrattori e le loro motivazioni offrono un approccio più originale rispetto all’unanime successione di elogi.

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Il cineasta è stato spesso additato come il precursore di una restaurazione del sistema che disinnescava quella consapevolezza critica dello spettatore inseguita dalla New Hollywood. Lo straordinario successo di Raiders of the Lost Ark (1981) aveva rafforzato le accuse di infantilizzazione del pubblico attraverso un intrattenimento passivo. Gli esordi di Steven Spielberg avevano sempre vissuto con imbarazzo questa critica ma E.T. rompeva ogni indugio. Infatti, il regista si sentiva libero di eleggere lo sguardo fanciullesco come la sua cifra poetica. L’eroe di Close Encounters (1977) non riusciva a coinvolgere la sua famiglia nello stupore delle sue visioni. I figli e la moglie lo mettevano in minoranza quando voleva vedere Pinocchio e assistevano alle sue ossessioni con preoccupazione. Tuttavia, Richard Dreyfuss era pur sempre un adulto che pagava la sua voglia di credere ad ogni costo con l’emarginazione e l’isolamento.

Gli scettici di Steven Spielberg non avevano completamente torto ma E.T. dimostrava che l’ingenuità era l’unico modo per il suo cinema di essere autoriale. Indiana Jones non era pura finzione ma era la proiezione dei sogni intimi di George Lucas quando era un ragazzino. La sua sceneggiatura era stata fortunata a trovare la condivisione emotiva del regista e quella di un pubblico che si riconosceva nei suoi ricordi. Così, la simbiosi tra Elliot e la creatura abbandonata sulla Terra non era solo una furba costruzione narrativa. Il divorzio dei genitori e l’esclusione familiare sono sempre stati i traumi mai rimossi della biografia del cineasta. Il fratello maggiore spiega agli scienziati che il legame esclusivo con il bambino non si basa sui pensieri dell’extraterrestre ma sui suoi sentimenti. Steven Spielberg ha sempre custodito gelosamente il segreto di questo rapporto con il pubblico. E.T. è il momento in cui questa connessione si è saldata definitivamente ed è stata rivendicata con orgoglio.

Il potere commovente delle sequenze più famose del film è rimasto intatto anche a quasi quaranta anni di distanza dalla sua prima distribuzione. L’immagine fotografica dell’ombra della bicicletta volante proiettata sulla Luna ha retto al drastico invecchiamento imposto dal green screen a tutta la fantascienza predigitale. E’ davvero solo merito dei pioneristici lavori di animazione della ILM e della straordinaria verosimiglianza dei movimenti meccanici dell’alieno? Lo straordinario design di Carlo Rambaldi basta a spiegare l’empatia che il suo robot continua ad innescare nel pubblico di ogni generazione? Le evocazioni michelangiolesche del manifesto e il desiderio comune di ricongiungersi con i propri cari sono abbastanza esaurienti? Il retaggio di E.T. è più profondo e solo la reazione di François Truffaut davanti al set di Close Encounters può spiegarlo.

Il padre della nouvelle vague francesce non rimase colpito dalla mastodontica scenografia del campo di atterraggio degli UFO. L’imponente dimostrazione della potenza produttiva hollywoodiana non lo affascinò come invece riuscì a fare la semplice ricostruzione di una stanza d’albergo. E’ paradossale che molte delle migliori scene di un abile sperimentatore degli effetti speciali come Steven Spielberg si svolgano negli interni. Così, nessun dettaglio di E.T. è così decisivo come lo straordinario realismo domestico della casa di Elliot e le relazioni familiari del suo soggiorno. Forse, è stata la prima volta che la generazione di quel decennio venne mostrata con una tale sincerità e una tale assenza di filtri. La libertà di improvvisazione che il regista ha lasciato agli attori più giovani gli ha regalato una chimica mai più raggiunta. La madre tradita e sola che non riesce a gestire la famiglia e il lavoro pur con le migliori intenzioni è l’unica e struggente presenza adulta. Il misterioso agente governativo di cui non sa nemmeno il nome si dimostra solo un bambino cresciuto che apettava da tutta la vita di incontrare un alieno.

La goffa tenerezza della creatura e delle sue soggettive dentro il cestino della BMX non va certamente sottovalutata. Eppure, quando Elliot si solleva dal vuoto è difficile trattenere le lacrime soprattutto perché è un ragazzino degli anni ottanta. La sua riconoscibilità si è compiuta con una grande profusione di riferimenti culturali che vanno ben oltre l’indimenticabile omaggio a The Quiet Man (1952) di John Ford. Ad esempio, il bambino si presenta al suo nuovo amico facendogli vedere i suoi pupazzi di Lando Calrissian e di Boba Fett. L’irresistibile immedesimazione di E.T. inizia quando il protagonista viene illuso di poter giocare a Dungeons & Dragons con il fratello e i suoi amici più grandi. E’ lo stesso desiderio nostalgico o attuale che sorge in chi vede per la prima volta gli amici di Stranger Things dei Duffer Brothers. Senza gli adolescenti che giocano in cantina non ci sarebbe stato il cinema degli eighties e nemmeno la sua rivisitazione, che è ormai un grande propellente di quello contemporaneo.

 

Titolo originale: E.T. – The Extra-Terrestrial
Regia: Steven Spielberg
Interpreti: Henry Thomas, Dee Wallace, Robert MacNaughton, Drew Barrymore, Peter Coyote, C. Thomas Howell
Durata: 115′
Origine: USA, 1982
Genere: fantascienza

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.07 (15 voti)
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