Eddie the Eagle – Il coraggio della follia, di Dexter Fletcher

Fletcher, in Eddie the Eagle, trasforma la vicenda di Eddie in un eighties’ tale, dove l’estetica patinata e lo spirito scanzonato hanno un’importanza pari al buon e onesto messaggio edificante.

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Nei paesi scandinavi, i ragazzini interessati a cimentarsi nel salto con gli sci sono messi sul trampolino olimpico dall’età di sei anni. Non è una disciplina per tutti, sicuramente non per dilettanti o sportivi improvvisati. Dietro ad ogni lancio, a ogni salto spettacolare, infatti, ci sono lividi, fratture e cadute rovinose. Il più piccolo sbaglio, nel migliore dei casi, può significare una costola incrinata, nel peggiore la morte. Solo un pazzo può svegliarsi una mattina e decidere, di punto in bianco, non solo di diventare, senza alcuna preparazione o allenamento, un saltatore ma addirittura di competere alle Olimpiadi invernali.  Eddie the Eagle è, dunque, il racconto dell’irresistibile follia di Michel “Eddie” Edwards, il pazzo sognatore di Cheltenham, diventato nel febbraio del ’88 l’idolo di una nazione.  La pellicola di Dexter Fletcher, alla sua terza regia, come sottolinea il sottotitolo italiano, è l’elogio al coraggio della follia. Eddie fisicamente non è il ritratto di un atleta. Sgraziato e goffo, con gli occhiali dalle lenti spesse come fondi di bottiglia e dall’espressione poco sveglia, il ragazzo sembra più un freak che un olimpionico. Eppure Eddie, dentro di sé ha una forza che lo trascina, una motivazione che lo legittima più dei suoi boriosi e arroganti compagni. Sono il sogno infantile e l’incrollabile consapevolezza di potercela fare le molle che guidano tutti i suoi gesti, rendendolo l’esempio dello sportivo perfetto, di chi non è interessato a medaglie, riconoscimenti e allori ma solo all’essere considerato un atleta al pari di tutti gli altri. Nella sua commovente gioia di godere dei propri piccoli dei successi personali, anche quando questi significano sconfitte madornali, c’è il cuore di un film che parla la lingua del barone De Coubertin, non a caso citato a più riprese.

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La piccola ma decisiva vittoria del film è, poi, quella di svuotare questo biopic anomalo da qualsiasi inopportuna e pedante retorica nazionale o morale. Dexter Fletcher, dopo la divertente commedia amara Wild Bill e il musical Sunshine on Leith, ha l’intelligenza di muoversi in ben altri territori, regalando al suo film un sapore particolare. Probabilmente guardando alla lezione degli amici Guy Ritchie e Matthew Vaughn (produttore del film), Fletcher trasforma la vicenda di Eddie in un eighties’ tale, dove l’estetica patinata e la confezione vintage (dai costumi alla colonna sonora) hanno un’importanza pari al buon e onesto messaggio edificante. Tra impianti sciistici e citta montane che sembrano uscite dalle prime vacanze di Natale dei Vanzina, dunque, le avventure e gli allenamenti della coppia Eddie e Bronson, il suo ubriacone allenatore americano, trovano il loro senso. Il giovane Taron Egerton, coraggioso nel vestire i puri e terribili panni del fool, e Hugh Jackman cialtrone e affascinante il giusto, si divertono a diventare i protagonisti eroici di questa scanzonata favola celebrativa. Eddie the Eagle, infatti, pur aprendo anche una piccola ma interessante finestra sulla trasformazione dell’informazione sportiva, da cronaca di gare e vittorie a macchina sempre alla ricerca di storie e personaggi sensazionali (a quell’Olimpiade, va ricordata anche l’enorme fortuna mediatica della squadra di bob giamaicana, già protagonista di Cool Runnings di Jon Turteltaub), racconta la vicenda di questo loser imbattibile, non prendendosi mai sul serio e dimostrandosi, per assurdo, più efficace che qualsiasi ottusa propaganda.

 

Titolo originale: Eddie the Eagle

Regia: Dexter Fletcher

Interpreti: Hugh Jackman, Taron Egerton,Christopher Walken, Tim McInnerny, Edvin Endre, Jo Hartley, Ania Sowinski

Distribuzione: 20th Century Fox

Durata: 105′

Origine: Gran Bretagna, USA, Germania 2016

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