Eden, di Mia Hansen Løve

Non un biopic sui Daft Punk ma un nuovo ritratto giovanile che nasce semmai à côté del duo musicale. Un film imperfetto che è però più facile finire per amare

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There are so many things that I don’t understand
There’s a world within me that I cannot explain
Many rooms to explore, but the doors look the same
I am lost I can’t even remember my name
I’ve been, for sometime Looking for someone
I need to know now
Please tell me who I am
(Within – Daft Punk)

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“Da qualche parte, tra l’euforia e la malinconia”. La definizione della musica garage data da Paul, protagonista dell’Eden di Mia Hansen Løve, traccia perfettamente i connotati del cinema della cineasta trentatreenne. Un mondo che, come i morceaux mixati dal duo dei Cheers, sembra sempre in sospeso tra la necessità di immergersi in una dimensione collettiva e quella di ritagliarsi uno spazio privato, inaccessibile.

 

Eden è proprio questo, un film in continua oscillazione tra il dentro e il fuori, tra il sommergibile dell’incipit, location di un rave che pompa da lontano suoni sommessi, distanti vibrazioni che parlano prima alla pancia che alle orecchie dei suoi ascoltatori, e un bosco solitario in cui trovare ispirazione all’alba, sognando un uccello dalle ali di fuoco.

 

edenUn film sulla musica che comincia immergendosi nel silenzio, chiarendo subito l’eventuale equivoco per cui la Hansen Løve non firma un biopic sui Daft Punk, ma un nuovo ritratto giovanile che nasce semmai à côté del duo musicale e che fa di questa sua lateralità la chiave di lettura del suo romanzo di formazione. Ritratto privato dalle continue tentazioni generazionali, con la scena House del French Touch, che la regista descrive davvero “in casa”, assieme al fratello dj Sven, uno degli ideatori del vero duo dei Cheers e delle serate Respect du Queen.

In un flusso inestricabile di realtà e finzione, la Hansen-Løve si impossessa delle random access memories del fratello per una lenta, capillare immersione in questa ritualità di feste, serate, club in cui i protagonisti si trovano, si riconoscono, sentendosi per l’appunto a casa, in un viaggio che partendo dalla nascita del digitale, dalla fascinazione robotica, fa poi ritorno all’analogico, scoprendosi di nuovo “human after all”.

 

félix de givry e pauline etienne in edenCos’è l’Eden alla fine di questo viaggio? Una giovinezza fatta di passione per la musica, di quella accantonata e ritrovata per la letteratura – con i libri che alla fine salvano il protagonista – degli amori per le donne e per la droga, gli amici che trovi e perdi lungo il cammino, quelli troppo fragili che non ce la fanno e lasciano un vuoto, come Cyril, fumettista che cerca di toccare il cielo in una stanza coi suoi disegni sempre meno realisti…

 

Un’adolescenza totalizzante, da cui sembra quasi impossibile uscire: idea molto assayasiana che la Hansen Løve sembra aver ripreso in gran parte dal suo compagno.

In filigrana scorrono le turbolenze emotive di Desordre e Après Mai, gli stessi fantasmi sentimentali che si insinuano, inestirpabili, nei ricordi. Ma se la vocazione a cogliere l’intensità del momento – e del movimento – è la stessa, (che immagine alla Assayas è quel fiume umano di ragazzi che attraversa a ritroso la campagna parigina all’alba per rientrare in città?) Mia Hansen Løve non appare ancora del tutto libera nel muovere la sua macchina da presa, ancora acerba nel creare atmosfere paniche dove i corpi siano tutt’uno con la musica.

 

Eppure questo nitore, questa classicità formale risulta al tempo stesso affascinante. Se non altro per quel che rivela su una generazione costantemente bloccata, lontana da quella di Assayas, ancora addentro alle cose, pronta a sporcarsi le mani; i protagonisti di Eden sono come gli stessi Daft Punk, gli invisibili Thomas e Guy-Man, ovunque via radio ma destinati a rimanere fuori dai locali: di nuovo dentro e fuori. Dalla vita, dai sentimenti alterati e sintetici, dall’irrompere dell’età adulta attraverso i figli degli altri, delle donne amate diventate nel frattempo madri.

Benedetto dalle apparizioni di lusso di Laura Smet, Greta Gerwig e dell’ormai imprescindibile nume tutelare della cultura bobo parigina Vincent Macaigne, Eden è un film imperfetto, che per molti motivi si potrebbe anche odiare. Ma è più facile finire per amarlo.

 

 

Titolo originale: id.

Regia: Mia Hansen Løve 

Interpreti: Félix de Givry, Pauline Etienne, Vincent Macaigne, Greta Gerwig, Golshifteh Farahani, Laura Smet, Vincent Lacoste

Distribuzione: Movies Inspired

Durata: 131′

Origine: Francia 2014

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