EDINBURGH INTERNATIONAL FILM FESTIVAL – Premi e bilancio

Edinburgh Film Fest
Si conferma come un festival in crescita, quello di Edinburgo: con un focus sul cinema britannico ma anche sul documentario, e la volontà di offrire un’ampia vetrina alle opere prime.
Un nuovo e onesto sguardo sul mondo

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Il festival di Edimburgo si conclude con l’assegnazione dei premi da parte di una giuria presieduta dall’attore Patrick Stewart (noto al grande pubblico per l’interpretazione del capitano dell’astronave di Star Trek) e composta dai registi Mike Hodges e Rafi Pitts, dall’attrice Britt Ekland e dalla curatrice Laurence Kardish.
Il Michael Powell Award, premio per il miglior lungometraggio inglese, va al film Skeletons di Nick Whitfield, poichè “capace di rappresentare al meglio lo spirito di Michael Powell, attraverso il suo dark humour e la sua originale visione del mondo”.
Skeletons
è una commedia surreale che vede i due protagonisti viaggiare per l’Inghilterra come specialisti nell’eliminazione di… scheletri dall’armadio! Durante il loro lavoro scopriranno che non è sempre possibile liberarsi dei propri scheletri e che fuggire dal proprio passato non rappresenta una soluzione. In termini televisivi, il film richiama alla mente un miscuglio tra Six feet under (per la struttura visiva, alcuni paesaggi, lo humour nero e il surrealismo) e Little Britain (per l’affiatamento tra i due attori e lo humour britannico).

Il festival di Edinburgo si propone di celebrare non solo la produzione cinematografica britannica ma anche i nuovi talenti: il premio come Migliore Regista Esordiente viene assegnato a Gareth Edwards per il film Monsters, mentre David Thewlis si aggiudica il premio come Migliore Attore Inglese per il ruolo di Jim McCann in Mr Nice di Bernard Rose.
Il premio come Migliore lungometraggio straniero va a The Dry Land di Ryan Piers Williams, che descrive il rientro a casa di un soldato dalla missione in Iraq e la sua difficile reintegrazione in una piccola città del Texas, nonostante l’aiuto della moglie e della famiglia.
Un altro premio importante del festival è quello per il Miglior documentario, che va a The Oath di Laura Poitras, secondo documentario di una trilogia dedicata all’America dopo l’11 Settembre. La trilogia si intitola The new American century e comprende il precedente My country, my country, il già citato The Oath e un film (ancora in produzione) sul processo relativo all’attacco terroristico dell’11Settembre.

The Oath segue le vicende di Abu Jandal e del fratellastro Salim Hamdan nel loro coinvolgimento con Al-Qaeda. Il primo era una guardia del corpo di Bin Laden ed ora vive nello Yemen come tassista, il secondo era l’autista personale di Bin Laden ed è ora rinchiuso nel carcere di Guantanamo Bay, imputato di crimini di guerra, dopo essere stato arrestato in seguito all’attentato dell’11 Settembre. Salim sembra aver intrapreso un percorso personale da fedele alla causa del terrorismo islamico a uomo (forse) pentito e deciso a rivelare al mondo la propria esperienza.

Il festival di Edimburgo premia dunque il coraggio di una donna regista (volendo evitare qualsiasi retorica celebrazione di genere, resta comunque un fatto che girare un film nello Yemen non è un’impresa facile per una donna) e celebra un documentario controverso, uno sguardo su due vite diverse che lascia ampio spazio a dubbi e riflessioni, stimolando lo spettatore ad essere un testimone attivo e “pensante”.
AlamarTra le sezioni del festival, Rosebud si rivela la più interessante, una vetrina dedicata alle opere prime, che esplora il mondo poetico del sud America e il contatto con la natura attraverso i film Alamar di Pedro Gonzalez-Rubio e Crab Trap di Oscar Ruiz Navia. Un cinema che segue il ritmo del mare, fatto di lenti sguardi e paesaggi, ma anche d’incontri e dialoghi.
Rosebud comprende però anche altri generi, dal thriller Winter’s bone di Debra Granik, alla commedia Boy di Taika Waititi. Sicuramente degno di nota il film R di Michael Noer e Tobias Lindholm, che esprime la durezza delle carceri danesi e le difficoltà che i giovani carcerati devono affrontare, attraverso uno stile visivo forte, un’inquadratura spesso fissa e dei primissimi piani che sembrano voler indagare l’essenza profonda dei luoghi e la realtà dell’animo umano.

Si conferma quindi come un festival in crescita, Edinburgo: con un focus sul cinema britannico ma anche sul documentario, e la volontà di offrire un’ampia vetrina alle opere prime. Nonostante questa scelta possa essere motivata non solo da una pura intenzione editoriale ma anche da ridotte possibilità finanziare (vedi i tagli al budget in seguito alla crisi economica), resta comunque una scelta decisamente apprezzabile e importante per le nuove generazioni di cineasti e per il futuro del cinema. Grazie all’attenzione per il cinema più sconosciuto, a volte disturbante e a volte impreciso ma carico di energia, il festival di Edimburgo offre allo spettatore un nuovo ed onesto sguardo sul mondo.

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