EFFETTO SODERBERGH – Gli occhi girevoli di Rooney Mara
Ogni reazione impressionata sul volto della protagonista di Effetti collaterali è la conseguenza transitoria di un’interferenza fisica: il trasferello sulla pelle che non conosce il sale del pianto perché per bagnarsi deve spremere il flaconcino delle lacrime artificiali. E il cineasta trova in lei il suo asso/attore/agente chimico
Leggere attentamente il foglietto illustrativo
(Rooney Mara e la lacrima facile: artificiale)
“Ho letto da qualche parte che c’è differenza tra lacrime di gioia e lacrime di rabbia. E’ un fatto chimico, ma non puoi distinguerle a occhio nudo. Sembrano tutte, semplicemente, lacrime”
Rooney Mara/Emily Taylor
Dopo avere accoltellato ripetutamente il marito con l’automatismo ritmico riservato a un pomodoro da insalata, Emily Taylor preme la faccia su un cuscino per costringersi a urlare. Il rossore sulle guance è antecedente: l’effetto collaterale dell’airbag che le ha tenuto la testa a distanza dal parabrezza, quando si è schiantata con esattezza millimetrica contro la scritta “exit” del garage.
Ogni reazione impressionata sul volto di Rooney Mara è la conseguenza transitoria di un’interferenza fisica: il trasferello sulla pelle che non conosce il sale del pianto perché per bagnarsi deve spremere il flaconcino delle lacrime artificiali. E’ la cipolla di un’industria ipercontemporanea – bassoventrale per istinti e oltreumana per espedienti -, specializzata in false promesse e prodiga di artifici confezionati alla irrisoria questione della felicità: Soderbergh mescola le pillole come le carte in gioco e trova in Emily Taylor il suo asso/attore/agente chimico: spaccio di etica (professionale, familiare) di sola e ondivaga convenienza, contenitore sonnambulo di un gioco che scopre gli effetti e ovatta le cause.
Con disturbante e ipnotica conformità al risultato desiderato, la performance di Rooney Mara in Effetti collaterali ha l’estensione di un file gif: http://www.tumblr.com/tagged/
L’occhio girevole come l’oliato meccanismo di una porta d’hotel, le pupille due cerchi pienissimi che vibrano come un lago bucato dai sassolini ma non straripano mai nel disegno di nuove forme. Eterno ritorno alla fissità espressiva, inframmezzato da una visuale periferica che nell’arco di un giramento di testa cattura dettagli in alta definizione. Soderbergh trova e sfrutta lo sguardo che non c’è. Perché non ammette dila(ta)zioni emotive, solo contrazioni robotiche funzionali al fermo-immagine: un obiettivo fotografico che scatta col silenziatore.
Scattare non è il verbo di Rooney Mara, che mai come in questo film cammina su un prato sintetico anche quando si sposta a passo svelto. Che sia ombra pericolante sulla striscia gialla della metropolitana o bambolina color pastello in un flashback che odora di spot autoriale per profumo primaverile: le scarpe modello ballerina la tengono letteralmente in ballo, i piedi poggiati per l’intero della pianta su un pavimento che si srotola come nastro trasportatore. E quando sdraiata sul divano interrompe il contatto col nastro, diventa molle tappezzeria in uno studio medico arredato in beige e si offre come scoperto oggetto – della diagnosi, del desiderio -, la sua corporeità è sempre più cerebrale che carnale, più collaterale che primigenia.
Nella nostra memoria cinematografica si è imposta con un’apparizione fulminea e fulminante: Erica Albright in The Social Network è un cameo indelebile che (non) nasconde la più scaltra delle funzioni. Il motore che precede l’azione, il ruolo nel senso più concreto e strutturale che esista. In Effetti collaterali la Mara è il ruolo del titolo: porta al livello successivo, probabilmente definitivo, la sua mirabile aderenza al meccanismo. E quando la vediamo riflessa in uno specchio che la spacca in due metà asimmetriche, non pensiamo all’allucinazione drogata ma alla lucida sfida di un puzzle le cui istruzioni sono scritte sul foglietto illustrativo.