Emmanuelle Riva. Gli occhi, la bocca

Il ritratto dell’attrice francese scomparsa venerdì scorso a 89 anni. Nel corso della sua carriera ha lavorato con Resnais, Kieslowski, Haneke, Bellocchio, Franju, Melville e Pietrangeli

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Emergeva dall’ombra il volto di Emmanuelle Riva, l’attrice francese scomparsa venerdì scorso a 89 anni. Come se non  avesse mai avuto addosso ‘i segni del tempo’ e fosse una proiezione dalla memoria o dalla storia. È un doppio – un’attrice – non ha identità, appare come uno spettro nel flashback ma ha anche la consistenza di una voce che rimbomba come in un incubo ricorrente in Hiroshima mon amour (1959), il film di Alain Resnais che le ha dato la notorietà. Ed è ritornata ancora fantasma, presente ma lontano nel suo ultimo film, Amour (2012) di Michael Haneke, Palma d’Oro al Festival di Cannes e Oscar come miglior film straniero. Lì è Anne, donne colpita da ictus e che dipende completamente dal marito, interpretato da Jean-Louis Trintignant.

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Gli occhi, la bocca. Proprio come il titolo del film che ha interpretato per Marco Bellocchio nel 1982. Che non cambiamo in oltre 50 anni sull’asse Resnais-Haneke. Ma che mostrano come lo sguardo dei due cineasti sia completamente diverso di fronte a quel volto, così forte ma così fascinoso, quasi l’illusione di proiezioni di ‘muse del cinema francese’ dove potrebbero sovrapporsi insieme il suo viso, quello di Jeanne Moreau e infine di Anouk Aimée. Come in una videoinstallazione. Senza soluzione di continuità. Disegnando attraverso anche solo attraverso le loro facce, parte di una storia intima del cinema francese tra gli anni ’50 e ’60. Se Resnais ha fatto sentire tutte le vibrazioni, il dolore, le cicatrici della Storia, Haneke (in un film superpremiato che Sentieri Selvaggi ha detestato) ha invece solo sfruttato Emmanuelle Riva come figura immobile, avvolta, anzi invasa da un voyeurismo in cui gli attori sembrano doversi amalgamare come manichini. Emmanuelle Riva non sembrava voler stare a questo ‘perfido gioco’. Ha a quel punto usato solo il suo corpo ma gli ha spento la luce. Degli occhi e della bocca. E Trintignant forse la cercava solo per gioco scenico.

emmanuelle riva hiroshima mon amourIl suo vero nome era Paulette Germaine Riva. Aveva un’innata eleganza e soprattutto una recitazione straniante, magnificamente inafferrabile. Il cinema italiano l’ha spesso chiamata. Da Kapò (1959) di Gillo Pontecorvo in cui è una prigioniere di Auschwitz, alla prostituta che dopo la chiusura delle case chiuse decide di aprire una trattoria con altre tre amiche nel bellissimo Adua e le compagne (1960) di Antonio Pietrangeli, dall’accoppiata con Ugo Tognazzi in Le ore dell’amore (1963) di Luciano Salce in cui con una prova modernissima mette in luce tutte le variazioni del sentimento e della passione fino a Gli occhi, la bocca (1982) dove Bellocchio, dopo Resnais, cattura ancora quell’essenza di fantasma-testimone, la madre dei due gemelli di cui uno morto suicida. Dove gli occhi sono anche nel fuoricampo, in un ruolo che è inclassificabile catalogare come principale o secondario. Perché Emmanuelle Riva è presente e sfuggente. Questo è il suo magnetismo e il limite per un cinema che non l’ha utilizzata di più. Non si impone mai sullo schermo. Ma la sua presenza sembra magnetica. Resnais le ha costruito addosso un’aura mitica, ma i suoi movimenti nello spazio catturano l’occhio. Non è mai lei che va a cercare lo sguardo. Dello spettatore, del regista.

emmanuelle riva thérèse desqueyrouxMa nel corso della sua carriera regala dei ritratti intensi anche ad alcuni dei maggiori e intransigenti cineasti francesi come in Léon Morin, prete (1961) di Jean-Pierre Melville e Il delitto di Thérèse Desqueyroux (1962) di Georges Franju. Nel primo film è una giovane vedova che durante l’Occupazione è attratta da un parroco di campagna interpretato da Jean-Paul Belmondo. Nell’altro porta sullo schermo l’eroina del romanzo di François Mauriac che tenta di avvelenare il marito e poi viene segregata in casa dal coniuge dopo essere stata assolta al processo. Per questa interpretazione ha ottenuto la Coppa Volpi al Festival di Venezia.

Nel corso della sua carriera ha lavorato anche con Krysztof Kieslowski. In Tre Colori – Film Blu (1993) ha interpretato la madre della protagonista Julie (Juliette Binoche). Fino al César poi vinto per Amour.

Attrice di  formazione teatrale, è spesso stata confusa come l’interprete ideale di un cinema più letterario. La sua forza è stata invece quella di segnare le inquadrature dove era presente, regalando anche ruoli leggeri come in Sciampiste & Co. (1999), una commedia da rivalutare di Tonie Marshall. Altro percorso che la carriera di Emmanuelle Riva poteva intraprendere. Tutte le possibilità di una carriera stranissima e intensa, irregolare eppure fortemente caratterizzante in ogni film che ha interpretato.

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