Falchi, di Toni D’Angelo

D’Angelo applica anche a questo canovaccio “di genere” la sua formula intima di cinema sospeso e ipnotico, limbo quasi onirico e liquido dentro il quale i personaggi sembrano sempre estranei

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Falchi è probabilmente il film che Toni D’Angelo aveva in mente di fare da sempre: già da Una notte era evidente nel suo sguardo l’intenzione di coniugare la tradizione di genere italiana (e ancor più precisamente napoletana) con meccanismi e astrazioni ambiziosamente cinefili. Ciò ne ha fatto da subito un’anomalia della nostra generazione di registi, una firma che senza compromessi decide di mantenere una prospettiva fieramente autoriale nei suoi progetti, andando a destrutturare l’afflato spettacolare di riferimento: una lettura personale come quella che attraversa i suoi documentari e addirittura un corto realizzato in un progetto nelle scuole, come il recente Ore 12.
Ecco, proprio quel titolo spurio ritorna in Falchi come indicazione esplicita della concezione hongkonghese del “prendere sul serio la retorica”, come ci ha detto il regista, fino a far esondare la tensione balistica degli scontri a fuoco e dei confronti fisici oltre la geometria delle inquadrature, proprio come un Johnnie To dei più rarefatti, illuminati al neon (verrebbe da pensare in realtà quasi più a un certo Derek Yee…).

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Quello che sorprende, in questa storia di sbirri di strada e solitudini stilizzate, amori tormentati e catene della colpa, mutazioni animalesche e senso virile della giustizia e dell’amicizia, è allora quanto paradossalmente D’Angelo decida poi di applicare anche a questo canovaccio fieramente familiare la sua formula intima di cinema sospeso e ipnotico, limbo quasi onirico e liquido dentro il quale i personaggi sembrano sempre estranei – tra di loro, nei luoghi, nelle traiettorie della vita e dei sentimenti.
Sull’urgenza e il bisogno cruciale dell’estraneità sembra fondarsi sostanzialmente la poetica di Toni D’Angelo, ben lontana dalle tentazioni della nuova serialità camorristica di successo virale. In questo davvero Falchi appare come una versione metropolitana del precedente, affascinante L’innocenza di Clara, filtrata attraverso l’approccio proprio del corto Ore 12.

Dal thriller con Chiara Conti del 2012 questo nuovo film recupera il vagare aereo della mdp di D’Angelo che lascia l’attrito magnetico e quasi insostenibile tra tutti i personaggi e i loro corpi ripresi come a sfrigolare ad una distanza siderale dalla materia, che ribolle sotto l’apparente, vitrea esilità dello sguardo: lo intuisce perfettamente la colonna sonora elettro-fusion di Nino D’Angelo, quasi un Miles anni ’80.
Allora lo slittamento migliore di Falchi si rivela davvero il continuo raddoppio con la prospettiva animale che quasi si fa traccia espressiva anche per le scelte registiche del film, dagli incontri clandestini di cani che esplicitano la lotta primordiale che i personaggi ingaggiano tra i vicoli di Napoli e nel duello tra rispetto e rivalsa di Cerlino e Riondino, all’addestramento del quadrupede che pian piano diventa metafora del processo di guarigione interiore attraversato dai protagonisti, nell’utopia di un amore e di un perdono insperato, un rifugio dove riposarsi un po’, anche se temporaneo.

Regia: Toni D’Angelo
Interpreti: Fortunato Cerlino, Michele Riondino, Pippo Delbono, Stefania Sandrelli, Aniello Arena, Fabrizia Sacchi, Gaetano Amato, Wang Xiaoyan
Origine: Italia, 2017
Distribuzione: Koch Media
Durata: 97′

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    Un commento

    • Film brutto. Non ti lascia emozioni, non ti lascia niente.
      Quasi un’ora di noia.
      Scusatemi per il mio giudizio, ma credo sia legittimo esporre il proprio giudizio.