Fare un film come si scrive una lettera. Il cinema di Christophe Honoré

 les chansons d'amour di christophe honoré
Musica e immagini, citazioni letterarie e scene rubate, in un flusso inarrestabile tra arte e vita. Quello di Christophe Honoré è un cinema senza paura, che osa lì dove altri temerebbero il ridicolo. Un cinema di incontri, da sfogliare come un album fotografico fatto di volti familiari da cui tornare è sempre un dolce piacere.

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“Faire un film comme on écrit une lettre. J’ai toujours adoré ça en tant que spectateur : aller voir des films pour prendre des nouvelles des cinéastes, des acteurs, d’une ville. C’est presque politique comme geste, une façon de lutter contre la manière dont on veut nous faire faire des films aujourd’hui.”

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C’est pas beau de manquer. Così una Catherine Deneuve immalinconita dai lutti dei suoi bien-aimés sigillava l’ultimo film di Christophe Honoré, cavalcata lungo lo spazio – Europa e America – il tempo – dagli anni Sessanta al presente – e i generi, dalla commedia musicale al mélo.

E la nostalgia per un passato più felice, soprattutto nell’orizzonte mitico degli anni sessanta che per l’Honoré spettatore, cinefilo e critico (ancor prima che regista) corrisponde all’esplosione della Nouvelle Vague, è la stessa del suo autore, che dissemina nella sua densa filmografia tracce di una autobiografia rivissuta all’interno di una passione dilagante, incontenibile, per visioni cinematografiche e passi romanzeschi, inseriti in un flusso vitale inarrestabile.

 

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dans paris romain duris joana preissHonoré, classe 1970, cresce in Bretagna, a Rennes, lasciata a metà anni Novanta per tentare la strada della scrittura a Parigi, dove inizia subito a scrivere per i prestigiosi Cahiers du Cinéma, portando parallelamente avanti un’attività letteraria che rimarrà l’amante tenace e silenziosa accanto alla relazione ufficiale con il cinema.

Scrive tanto, trasformando poi alcuni romanzi per il grande schermo: è il caso di Tout contre Léo e 17 Fois Cécile Cassard, che già enucleano temi e atmosfere dei film a venire, uno sguardo mobile e penetrante tanto sui luoghi quanto sugli esseri umani, spesso legati a dinamiche di gender in una fluidità che col passare del tempo si conferma sempre più come poetica e cifra stilistica.

 

Il cinema di Honoré sembra sempre abbandonarsi alla corrente, come quella del fiume che riconsegna a una nuova vita Cecile Cassard o dona nuovo slancio all’aspirante suicida Paul (Romain Duris) in Dans Paris. E lo fa nel paradosso di produzioni sempre più impegnative, che trovano nell’ultimo Les bien aimés il perfetto punto di congiunzione tra un cinema intimo, assolutamente personale, e la grandeur dello spettacolo fra ricostruzioni storiche, costumi e ambientazioni intercontinentali.

 

non ma fille tu n'iras pas danserMa soprattutto, il carattere fluido del cinema di Honoré sta nel suo crescere e farsi adulto, portandosi sempre dietro le persone care, come gli attori, sempre gli stessi, chiamati a scambiarsi di ruolo e a portare avanti, di film in film, relazioni parallele.

Come i suoi due attori feticcio Louis Garrel e Chiara Mastroianni, interpreti per natura e fisionomia inclini alla malinconia, che sembrano rincorrersi da una pellicola all’altra, cognati-amici in Les chansons d’amour, o destinati a un amore non corrisposto come in Non, ma fille tu n’iras pas danser e Les bien aimés, dove Louis insegue l’inquieta Léna e soprattutto Vera Passer, personaggio che Emmanuel Carrère (scrittore, sceneggiatore e regista, figura centrale della cultura transalpina contemporanea) ha indicato come uno dei ritratti femminili più belli del cinema francese degli anni Duemila.

 

dans parisÈ lo stesso Honoré ad ammetterlo: “Ho sempre amato – dichiara in occasione dell’uscita di Dans Paris, il film che considera prima vera espressione della sua poetica, dopo gli esiti incerti di Ma mère, adattamento del romanzo di Georges Bataille – anche da spettatore andare a vedere dei film per avere notizie dell’autore, degli attori, di una città”.

Fare un film come se si scrivesse una lettera, quasi un corollario della caméra-stylo di Astruc, che aveva dato il la alla Nouvelle Vague e alla sua idea diaristica di cinema, ai suoi racconti di formazione metropolitani, dove la città di Parigi diventa protagonista inevitabile.

Honoré restituisce alla Ville Lumière la centralità che occupava nel cinema degli anni Sessanta: dai tempi di Dans Paris, dentro Parigi, fino agli arrondissement di Les chansons d’amour, con i mercati del Decimo, la Piazza della Bastiglia col suo angelo piangente sotto la pioggia, e il Parc de la Pepinière, al centro del commovente omaggio della Mastroianni alla sorella scomparsa Ludivine Sagnier, ogni singola sequenza musicale viene abbracciata da uno scorcio della città, mai turistico, ma capace di conservare lo stupore per la bellezza rivelata allo sguardo del giovane bretone appena trasferitosi, e che rivive nella freschezza del personaggio di Erwann, dal sapore “di pioggia, oceano e di crêpes al limone”.

 

la belle personneCantano i protagonisti de Les Chansons d’amour, come quelli del più monumentale Les bien-aimés. Ma il revival modernizzato delle grandi commedie musicali del maestro Jacques Demy, per cui ritrova nell’ultimo una superba Catherine Deneuve, capace di portare sulle sue spalle, forti ma sempre lievi da perfetta fille légère, la potenza emotiva di un cinema eternamente giovane, non è confinato ai due film propriamente musical.

Il flusso, dicevamo. Honoré si affida ormai da anni alle note e alle parole di Alex Beaupain, musicista e compositore ormai diventato un co-autore delle sue opere. Capace di dettare il ritmo, di dosare le emozioni del pubblico facendolo ridere o piangere, riportando in vita il repertorio ye-ye degli anni Sessanta e componendo ballate dolci o luttuose, che accompagnano il destino dei protagonisti, dallo splendido confronto telefonico tra Duris e Joana Preiss in Dans Paris, cantato come un pezzo di Jacques Brel, agli ultimi momenti di Otto ne La belle personne, sperimentale adattamento contemporaneo del testo classico La princesse de Clèves di Madame de Lafayette.

 

La sfida di trasmigrare un romanzo di formazione studiato in tutti i licei francesi fra quegli stessi studenti, chiamati a impersonare figure tragiche votate al sacrificio, è vinta da Honoré grazie all’uso dei corpi dell’amico Louis Garrel, nel ruolo di Nemours, professore di matematica erede del seducente Duca della Lafayette, e di una delle sue scoperte migliori, l’allora debuttante Léa Seydoux, nel ruolo della timida ma inamovibile Junie, che si mangia letteralmente il film, con quella pelle candida e gli occhi tristi che l’hanno resa uno dei volti più ricercati degli ultimi anni.
les-bien-aimesMusica e immagini, incroci continui tra arte e vita, dove capita che, dopo tanti film in cui si erano solo sfiorate, Catherine Deneuve e Chiara Mastroianni si ritrovino per la prima volta a interpretare madre e figlia, scambiandosi sguardi complici su un ponte, ricordando con affetto l’assenza di un padre amato, seducente e inafferrabile (per cui è impossibile non pensare a Marcello…) e che ha qui il volto amico di Milos Forman.

Quello di Christophe Honoré è un cinema senza paura, che osa lì dove altri temerebbero il ridicolo, fregandosene delle regole, delle convenzioni sociali e stilistiche, mettendo il suo protagonista amato dal pubblico femminile a letto con un ragazzo che gli restituirà fiducia nel sentimento (“Aime-moi moins mais aime-moi longtemps”), tanto che la tv russa ha proibito il passaggio del film, o che non teme di costruire un racconto attorno a una protagonista scostante, ‘negativa’ come la Léna di Non, ma fille, con un finale durissimo e raggelante.
Ma più di ogni cosa è un cinema di incontri e rincontri, da sfogliare come un album fotografico fatto di volti familiari da cui tornare è sempre un dolce piacere.

 

 

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