FCAAAL 26 – Quinto giorno, premi e premiati

Un ex aequo chiude l’edizione n. 26 del Festival di Milano. I film premiati partono da istanze comuni attraverso strutture differenti. Assegnati anche i premi per il cortometraggio e del pubblico.

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Alla fine, dopo un lungo dibattere, ad aggiudicarsi il premio del Concorso lungometraggi all’edizione numero 26 del Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina sono, in ex aequo, tanto inatteso quanto salomonico, due film diversi tra di loro, entrambi sembrano nascere da medesime istanze che trovano le loro radici in una condizione sociale complessa mostrata anche dal cinema in tutte le sue debolezze.
We’ve never been kids dell’egiziano Mahmood Soliman e Madame Courage dell’algerino Merzak Allouache sono i due film premiati. Del primo si è parlato in questi resoconti giornalieri, del secondo la nostra testata se ne era occupata quando, all’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, il film componeva la selezione di Orizzonti.
I film vincitori testimoniano di due modi differenti di fare cinema pur partendo da We have never been kids, Mahmood Solimansollecitazioni non dissimili e avendo al centro dell’interesse il racconto di disperazioni esistenziali, tratto comune delle società descritte nei film dell’Africa del nord in cui queste situazioni sembrano assumere un profilo più estremo. Quella lunga fascia di terra che dall’Egitto arriva in Algeria e forse in Marocco e viceversa sembra schiacciata (tangibile anche grazie alla sua collocazione geografica) dentro fortissime contraddizioni che nascono dalla coesistenza di tradizioni culturali molto forti appartenenti tradizionalmente ai Paesi del centro sud del Continente e da suggestioni di modernità accentuate che provengono dall’incombente Europa vista come modello di sviluppo da imitare. Si ha la sensazione che le fragilità di quei sistemi politico-sociali nascano anche da questi accentuate divergenze che finiscono per indebolire le strutture sociali seminando qua e la le vittime di queste evidenti falle del sistema.
Nadia e Omar, i protagonisti dei due film vincitori, in fondo sono frutto di queste difficili condizioni, di queste evidenti contraddizioni. I due registi scelgono strade differenti per i loro film, ma entrambi giungono dritti al risultato. Soliman mette in scena

The Mocked one, Jeremia Mosesla sua storia attraverso il cinema verità grazie ad un pedinamento che dura per tredici anni. In tutto questo tempo il film ci restituisce la misura della fatica di Nadia e della sua situazione soprattutto in rapporto ai figli verso i quali è incapace, nonostante gli sforzi, di offrire un futuro rassicurante. Dall’altra parte l’algerino Allouache pur senza alcun intento sociologico, attraverso la storia di Omar, un piccolo selvaggio allevato dentro le pieghe di una città quasi senza forma, un ragazzo che potrebbe anche essere figlio di Nadia, mette in evidenza uno smarrimento giovanile che sembra irrisolvibile. In questa assonanza di temi le strade del cinema si inventano percorsi inusuali o percorrono con nuovo vigore sentieri già battuti alla ricerca di un pezzetto di possibile verità. In questo i due film premiati colgono nel segno, l’uno nello sguardo mai compassionevole e una capacità puramente cinematografica Dustur, Marco Santarelliche esula da ogni descrittivismo fine a se stesso, l’altro nell’asciutta narrazione di un personaggio borderline, un vero e proprio ragazzo selvaggio difficile da irretire dentro regole sociali. Un ritratto che teniamo sia specchio di una marginalizzazione giovanile che sembra diffusa.
Per i cortometraggi vince The Mocked one di Lemohang Jeremia Moses dal remoto Lesotho. Film fortemente evocativo e pieno di sotterranee suggestioni che il suo regista sottolinea facendosi aiutare da una fotografia perfino troppo tirata a lucido, dentro scenari di imponente bellezza. La storia della ragazza che intende aiutare il padre che sta per perdere la sua fattoria, attraverso uno stratagemma che consiste nel farsi credere un uomo per potere partecipare ad una gara tradizionale di lotta con i bastoni, è, in fondo, un espediente per La delgada linea amarilla, Celso R. Garciatradurre in immagini le radici culturali del suo autore. Si sente nel loro scorrere, tutto il senso di questo desiderio costituendo questi ultimi un valore aggiunto all’operazione che resta e sedimenta con le sue strutture narrative arcaiche dando origine ad un’epica tanto misteriosa quanto istintiva.
Dustur di Marco Santarelli, già in Concorso a Torino 2015 nella sezione dei documentari italiani, ha vinto il premio Extr’A – Razzismo brutta storia. La costruzione di una legge che sia universale è l’utopia di Santarelli e di padre Ignazio figura centrale di questo percorso nel carcere Dozza di Bologna. Il premio del pubblico è andato al messicano Celso Garcia per La delgada linea amarilla crediamo sia stata premiata la sincerità assoluta di una storia che, ancora una volta, guarda alla rinascita di un personaggio incappato in un difficile passaggio della vita.

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