#FCAAAL28 – Considerazioni finali

Una bella e ricca edizione quella di quest’anno che dimostra le potenzialità di questo cinema che ancora ci si ostina da più parti a considerare marginale

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È ormai da qualche anno che seguiamo il Festival milanese con attenzione e particolare affetto. Un Festival che è una manifestazione rara, così focalizzata sul cinema dei tre Continenti e al pari stimolante, tanto da proporre opere di autori italiani realizzate in quei luoghi. Soprattutto è attraverso iniziative come questa che il pubblico ha imparato ad apprezzare film che altrimenti avrebbero avuto un difficile ingresso nelle nostre sale. Alcuni autori, che abbiamo scoperto in queste giornate, durante gli anni sono divenuti autori internazionali conosciuti anche in Italia. È il caso ad esempio di Raoul Peck. Il regista haitiano è stato più volte presente a Milano con i suoi film precedenti. In questi giorni è atteso nelle nostre sale il suo Il giovane Marx, già selezionato per il Festival di Berlino dello scorso anno, e lo stesso Peck è il regista di I am not your negro che fu presentato alla scorsa edizione del Festival di Milano come film d’apertura.
Quanto ai premi finali di questa ventottesima edizione il miglior film del Concorso Finestre sul Mondo è stato considerato I am not a witch di Rungano Nyoni, coprodotto tra Inghilterra, Francia e Zambia. È la storia di una bambina che ingiustamente accusata di stregoneria, viene accompagnata in un campo di streghe. Queste donne sono costrette a diventare un’attrazione turistica dei luoghi. Condotto con ironia, nonostante il tema, in tempo di denunce e di Me too, il film affronta un problema che pare sia diffuso in quei

Paesi di bambine additate come streghe. Un film in cui l’equilibrio tra ironia e dramma collettivo regge bene, ma forse, nel rispetto del verdetto della giuria, va sottolineato che forse altri titoli in Concorso avrebbero maggiormente meritato il primo premio.
Il premio per Concorso dei cortometraggi africani è stato assegnato come si è già detto in una precedente cronaca, al film Aya di Moufida Fedhila e per il Concorso Extr’a a Babylonia mon amour di Pierpaolo Verdecchi. Il film di Verdecchi è la storia di due gruppi di senegalesi che vivono a Barcellona in un alloggio occupato, scoprendo che il sogno europeo è qualcosa di evanescente. Anche il film d’apertura Une saison en France di Mahamat Saleh Haroun, che affronta il tema sempre complesso dell’immigrazione, ha vinto il collaterale Premio Sunugal.
Una bella e ricca edizione quella di quest’anno che dimostra le potenzialità di questo cinema che ancora ci si ostina da più parti (a cominciare da certa distribuzione) a considerare marginale e che invece sa mostrare un variegato ventaglio di temi e di prospettive di sguardo dei suoi autori. Un cinema dal quale ancora di più lo stesso Festival potrebbe attingere per riaffermare una assoluta originalità nel panorama delle manifestazioni cinematografiche italiane. Ma c’è da fare i conti con la limitata disponibilità di mezzi economici che non colpisce solo questo Festival. Questa è sicuramente una delle ragioni che impediscono alla manifestazione una maggiore visibilità e un maggiore spettro di eventi, sicuramente una maggiore possibilità di ospiti e di sale per le proiezioni. Ma ci rendiamo conto che ormai gli appelli non servono più e che non bastano le buone intenzioni, che a parole tutti assicurano di avere, per dare corpo (o maggiore corpo) a quelle iniziative che hanno un valore garantito, se non altro dalla originalità del loro contenuto. È già una bella prospettiva potere pensare di mantenere la posizione, assicurarsi, in altre parole, l’esistenza, in parola ancora più povere potere pensare già all’edizione numero 29.

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