FEFF19 – Biopic dal Giappone, Bitter-Sweet-Drama dalla Cina e Thriller dalla Corea

Al Far East di Udine non può mancare il biopic dal Giappone, lo sweet-drama dalla Cina e il thriller dalla Corea del Sud: focus su “Satoshi”, “Mr Zhu’s Summer” e “Bluebeard”

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Nella ricchezza dei generi non sono mancati i biopic al FEFF, uno dei quali nella categoria Japanese chess drama. La vita raccontata è quella di Satoshi Murayama, ragazzo giapponese prodigio nello shogi. Lo shogi non è uno sport estremo ma bensì la variante giapponese degli scacchi dove lo scopo è sempre quello dello scacco matto, re minacciato dal re avversario. Il film di Mori Yoshitaka è costruito interamente sul corpo impacciato e gonfio di Ken’ichi Matsuyama ingrassato 15 chili appositamente per il ruolo. Ogni scelta del regista è influenzata da questo  corpo sfatto, ogni inquadratura nasce dal movimento impacciato dell’attore. Il vero Satoshi infatti, affetto fin da piccolo da una malattia ai reni, era un ragazzo cicciotto, sformato dalla malattia ma soprattutto perseguitato dalla sua ossessione, quella nata dalla passione per lo shogi. Passione che nel tempo si trasforma nell’esigenza vitale di diventare il campione e battere Habu, numero uno indiscusso. Anche se questo significa rinunciare alla vita. Una frase del film colpisce più delle altre. Satoshi invita Habu a bere dopo averlo finalmente sconfitto per la prima volta. I due parlano della loro passione accecante che è costantemente accompagnata dal bisogno di vincere. “Il nostro oceano”, dice Satoshi, “non è come quello che vedono gli altri”. “Noi abbiamo bisogno di spingerci sempre più nel profondo. Possiamo andarci insieme un giorno”, continua Habu. Questo porterà ad un’incredibile partita finale in cui la dedizione spalanca le porte al silenzio, alla precisione e alla lentezza, concetti alquanto bizzarri ormai. Il silenzio è accompagnato dal costante rumore del legno della pedina che batte sulla scacchiera.

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zhus

Meno riusciti il bitter-sweet school drama dalla Cina e un serial killer at large dalla Corea del Sud. Mr. Zhu’s Summer è la storia di un maestro delle elementari che ondeggia fra il senso di fallimento e il bisogno di autodeterminarsi nella vita. Quando finalmente capisce come farsi amare dai suoi allievi (dimenticando le dure regole educative) viene preso di mira dai genitori e dagli altri insegnanti per i suoi metodi anticonvenzionali. Questo film di Song Haolin non emerge dallo schermo, non come dovrebbe, sebbene due piccoli attori, il grassottello King Kong e il mingherlino Cavalletta, siano eccellenti. Ma quando questo film riesce a toccare le nostre corde amaro-dolcemente drammatiche, lo fa solo frammentariamente e nel suo insieme non riesce a spiccare il volo sulle ali di questa direzione magica. Forse perché decide di prendere la rincorsa affidandosi completamente alla trama, che invece andava completamente dimenticata, anche solo servendosi del disagio del volto di Mr. Zhu, che ad ogni inquadratura ha la potenza di Charlie Brown.

Bluebeard

Dalla Sud Corea un thriller della regista Soo-youn Lee già ospite al Far East con l’horror The Uninvited. Bluebeard  si ispira all’angosciante fiaba popolare la cui versione più famosa è quella di Perrault: Barbablu.Un paziente sotto anestesia rivela a un medico un segreto su un omicidio. Il dottore si ritrova quindi invischiato in un caso irrisolto da tempo riguardante un serial killer che smembra le donne e si porta via la testa. Sono soprattutto le immagini a colpire lo spettatore: il sangue degli animali della macelleriala carne tritata, il volto dell’attore Jo Jin-ung,  il cui disagio esistenziale iniziale, come regola aurea di ogni buon thriller che si rispetti, viene prima degli accadimenti esterni.
Ma ciò che viene meno è l’ingrediente principale: la suspence muore col palese tentativo di stupire ribaltando la situazione. Qualcosa non funziona perché le intenzioni vengono alla luce fin troppo presto e Bluebeard paga caro il bisogno di spiegare ad ogni costo ogni avvenimento. Sarebbe stato più che altro necessario condensare l’accaduto in poche battute e lasciare spazio al terrificante territorio del non detto.

 

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